E’ morto nell’acqua ancora bassa della spiaggia di Sfax, era in acqua per spingere il barchino verso il largo. Sulla barca aveva caricato la moglie e tre figli, accanto a tanti altri. L’uomo spingeva con tutta la forza che poteva con l’acqua fredda fino al petto, spingeva perché la barca potesse prendere il largo. Alla fine salirci su quella barca. Il sogno era quello di portare la sua famiglia al di là del mare, in Italia, in Europa. La Nigeria che si erano lasciati alle spalle non offriva niente a lui, alla sua compagna, tanto meno offriva ai suoi figli.
Spingi, spingi con tutta la tua forza, si diceva, stringendo i denti. E stato in quel momento che l’uomo si è sentito male, è stato allora che il suo cuore si è fermato.
Le barche che attraversano il Mediterraneo, e quelle che si capovolgono e fanno strage di vite umane, sono sempre cariche di storie: una storia un uomo, una storia una donna, una breve storia un bambino, una bambina. Spesso ce ne dimentichiamo, a malapena li contiamo. a volte li contiamo e li raccontiamo solo come l’insieme di un problema, di una “emergenza”, solo se il numero è alto, solo se muoiono e picchiano sulla nostra coscienza.
L’uomo che spingeva il barchino sul quale aveva caricato i suoi affetti, in barca ci è salito quando già era cadavere. Il suo corpo senza vita, vegliato dalla moglie e dai figli, è stato trovato a bordo del barchino di 7 metri che è stato poi soccorso al largo di Lampedusa, nel buio della notte vigilia della Resurrezione di Cristo. A bordo, 38 poveri Cristi, 38 migranti e tra loro la moglie e i tre figli piccoli dell’uomo che ha spinto la sua famiglia verso il futuro fino a lasciarci la vita.
L’uomo che ha spinto il barchino ora è nella camera mortuaria del cimitero di Cala Pisana, a Lampedusa. La compagna e i figli dell’uomo ora dovranno riprendere a camminare da soli. Sarà dura, dura come nessuno di noi immagina. E invece abbiamo l’obbligo di immaginarla.