Migranti, Meloni grida vittoria dopo il vertice Ue: ma mi faccia il piacere
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Migranti, Meloni grida vittoria dopo il vertice Ue: ma mi faccia il piacere

L’informazione (sic) mainstream, versione aggiornata dell’Istituto Luce di fascistica memoria, ha decretato: sui migranti, l’Italia vince in Europa. Ma...

Migranti, Meloni grida vittoria dopo il vertice Ue: ma mi faccia il piacere
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Giugno 2023 - 15.28


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L’informazione (sic) mainstream, versione aggiornata dell’Istituto Luce di fascistica memoria, ha decretato: sui migranti, l’Italia vince in Europa.

Ma mi faccia il piacere, avrebbe detto il grande Totò. 

Fuori dal coro

Il report de Linkiesta: “Alla fine l’accordo sul nuovo Patto per l’Asilo e Migranti è stato trovato. Durante il consiglio Affari interni a Lussemburgo, i Paesi europei hanno raggiunto un’intesa per aggiornare, dopo sette anni di negoziati, le procedure di frontiera e la gestione dell’asilo per i migranti.

L’accordo prevede che tutti gli Stati partecipino alle redistribuzione dei migranti o in alternativa versino un contributo di 20mila euro a migrante al fondo comune per la gestione delle frontiere esterne («solidarietà obbligatoria»); l’esame delle domande di asilo dovrà avvenire con una “procedura di frontiera” e concludersi entro 12 settimane; il periodo durante il quale uno Stato ha la responsabilità dei migranti arrivati sul suo territorio passa da 12 a 24 mesi; in materia di rimpatri, gli Stati membri avranno autonomia nel definire un Paese di partenza o transito come “sicuro” e quindi potranno attuare i rimpatri anche verso uno Stato di semplice passaggio.

La discussione è stata segnata dalla contrapposizione tra Italia e Germania. Roma ha spinto per avere più elasticità sui rimpatri in modo da poterli effettuare anche verso i Paesi di transito, mentre Berlino richiedeva standard più elevati nel definire la sicurezza dei Paesi in questione. «Abbiamo rifiutato le compensazioni in denaro, preferendo dirottarle a un fondo comune per gestire la dimensione esterna all’Unione. L’Italia non diventerà un centro di raccolta», dice il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi al Corriere.

Nel voto finale, Polonia e Ungheria hanno votato contro le nuove regole, mentre Malta, Lituania, Slovacchia e Bulgaria si sono astenute. Stavolta il voto richiedeva la maggioranza qualificata (il 55 per cento degli Stati membri e il 65 per cento della popolazione).

Per il nostro Paese, però, grandi passi avanti non ci sono stati. Il concetto base dell’intesa è quello della «solidarietà obbligatoria». Niente a che vedere con i ricollocamenti obbligatori, ovvero l’obiettivo principale che si era posto il governo Meloni. E di certo si tratta di una riforma assai meno ambiziosa di quella proposta dal Parlamento Europeo nel 2018 e mai approvata dal Consiglio Ue.

La riforma approvata prevede quindi che in caso di ingenti arrivi di richiedenti asilo una quota venga trasferita in altri Paesi. Non tutti però parteciperanno a questi ricollocamenti: i governi potranno scegliere di pagare 20mila euro per ogni richiedente asilo che non accoglieranno. Nella proposta del 2018 i ricollocamenti invece erano obbligatori per tutti i paesi dell’Unione, punto molto osteggiato dai paesi dell’Est.

Ai Paesi di frontiera come l’Italia, la Grecia e la Spagna verrà poi chiesto di rafforzare i controlli per evitare i cosiddetti movimenti secondari, cioè gli spostamenti dei richiedenti asilo verso i Paesi del Nord Europa.

L’Italia poi aveva chiesto maggiori garanzie sui cosiddetti “Paesi terzi”, cioè i paesi di transito dei migranti che cercano di arrivare in Europa, per favorire eventuali accordi sulla gestione dei migranti. Come quello che l’Italia ha sottoscritto con la Libia. Roma ha così ottenuto che in futuro questi accordi potranno essere più semplici. «Volevamo che non passassero formulazioni dei testi che depotenziassero la possibilità di fare accordi con Paesi terzi, sempre nell’attuazione della proiezione sulla dimensione esterna», ha detto Piantedosi alla fine dell’incontro del Consiglio.

Dopo il viaggio dei giorni scorsi di Meloni in Tunisia e in vista del ritorno della premier a Tunisi previsto per domenica con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il primo ministro olandese Mark Rutte, si evince che il governo vorrebbe negoziare con la Tunisia accordi simili a quelli in vigore con la Libia, con procedure più rapide di respingimento per i migranti che non sembrano avere i requisiti per potere ottenere l’asilo.

L’accordo trovato nel consiglio Affari interni sarà discusso nelle prossime settimane dal Parlamento europeo. Per approvarlo definitivamente ci sarà tempo fino ai primi mesi del 2024”.

Un accordo in extremis per evitare l’ennesimo fallimento sul tema migranti prima della fine della legislatura. 

Ne scrive Franz Baraggino per Il Fatto Quotidiano: “Il Consiglio Affari Interni dell’Ue, dopo ore di scontri, contrattazioni e veti incrociati, è riuscito ad arrivare a un’intesa per approvare i due pacchetti legislativi sulle procedure di frontiera e sulla gestione dell’asilo. Le nuove norme sono destinate a riscrivere i rapporti tra Stati membri, ma anche extra-Ue, sulla gestione dei flussi migratori nell’ambito del nuovo Patto sulla migrazione. Per l’approvazione definitiva manca comunque il via libera del Parlamento europeo. Non troppo entusiaste le dichiarazioni del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, a margine del vertice: “L’Italia ha avuto una posizione di grande responsabilità e ha trovato corrispondenza da altri Paesi. Abbiamo cercato di rendere attuabili le procedure di frontiera, processo che noi riteniamo debba andare avanti. Riteniamo che sia un giorno in cui parte qualcosa e non solo sia un giorno di arrivo”. Il ministro ha comunque voluto rassicurare sul fatto che “l’Italia ha ottenuto il consenso su tutte le proposte avanzate nel corso del Consiglio odierno. In primis, abbiamo scongiurato l’ipotesi che l’Italia e tutti gli Stati membri di primo ingresso venissero pagati per mantenere i migranti irregolari nei propri territori. L’Italia non sarà il centro di raccolta degli immigrati per conto dell’Europa. Siamo riusciti a ottenere un quadro giuridico di riferimento per possibili intese con Paesi terzi sicuri e abbiamo altresì evitato che venissero poste delle limitazioni che avrebbero escluso alcuni Paesi”. Il ministro ha poi aggiunto che “oggi abbiamo ottenuto una concreta solidarietà dell’Unione europea, con meccanismi di compensazione sui ritorni di Dublino e soprattutto abbiamo rifiutato l’opzione di compensazioni in denaro perché incompatibili con la dignità del nostro Paese e, al contrario, gli impegni finanziari dei Paesi che non faranno solidarietà diretta confluiranno in un fondo, gestito dalla Commissione, per attuare progetti concreti per la cosiddetta dimensione esterna”. Ma più che concessioni verso i Paesi di confine come l’Italia, dalle parole di Piantedosi sembra emergere un quadro che semplicemente non depotenzia l’azione esterna dell’Ue sul tema migratorio: “Volevamo che non passassero formulazione dei testi che depotenziassero la possibilità di fare accordi con Paesi terzi, sempre nell’attuazione della proiezione sulla dimensione esterna. È un compromesso che non lede il quadro giuridico internazionale”. Così l’Italia, alla fine, non si è opposta al documento e ha votato sì. Posizione diversa rispetto a quella espressa da molti degli alleati europei di Fratelli d’Italia, dato che Ungheria e Polonia hanno votato contro, mentre si sono astenuti Slovacchia, Lituania, Malta e Bulgaria.

Chi invece manifesta soddisfazione è la Svezia, presidente di turno dell’Ue che ha promosso gli ultimi colloqui per non uscire da Bruxelles con un nulla di fatto: “Per noi si tratta di un grande giorno. Lanciamo un messaggio importante, quando siamo uniti siamo in grado di prendere decisioni non facili ma necessarie”, ha detto la ministra svedese per l’Immigrazione Maria Malmer Stenergard sottolineando che l’accordo è passato con “ampio supporto”. Sulla stessa linea la commissaria Ue per gli Affari Interni, Ylva Johansson: “Voglio ricordare che voi, nel Consiglio, avete ricostruito la fiducia, è qualcosa che si fa nel corso degli anni e questa è la ragione per cui si possono gestire negoziati difficili e trovare un compromesso. Abbiamo dimostrato che è possibile lavorare insieme sulla migrazione e siamo molto più forti quando lo facciamo”.

Mentre si è in attesa delle ultime indiscrezioni sui punti cruciali dell’intesa, rispetto alla proposta avanzata dalla Commissione europea che, però, aveva raccolto critiche sia tra i Paesi più interessati a una gestione dei confini più rigida sia tra chi, invece, puntava su una maggiore solidarietà intra-europea, si va verso un testo di compromesso. Il tentativo in serata è stato promosso dalla presidenza svedese che ha convocato un incontro ristretto fra Commissione, Francia, Italia, Germania, Spagna e Olanda. Nelle ultime ore, dopo che l’accordo sembrava infattibile entro la giornata, il ministro dell’Interno italiano Matteo Piantedosi aveva detto che c’erano stati progressi, “ma non abbastanza”, ribadendo che per l’Italia resta dirimente la possibilità di espellere in Paesi terzi i migranti che non hanno diritto al soggiorno, senza dover attendere di trovare un accordo con i rispettivi Paesi di origine per rimpatriarli.

A mettere tutti o quasi in disaccordo è stato innanzitutto e ancora una volta il tema della solidarietà tra Paesi Ue per la redistribuzione dei rifugiati. La proposta della presidenza svedese prevedeva una “solidarietà obbligatoria” e la ripartizione dei migranti tra i vari Paesi Ue, che però rimangono liberi di optare per un contributo ai Paesi di primo ingresso in termini di strumenti per il controllo dei flussi migratori o di aiuti finanziari che, secondo la proposta, sono di 20mila euro per ogni migrante che si rifiuta di accogliere. In minoranza su questo fronte erano innanzitutto Polonia e Ungheria in testa che già si erano espresse contro la proposta. Oggi la Polonia ha rilanciato definendo “sanzioni inaccettabili” i contributi finanziari ipotizzati. Ma non si tratta solo dei Paesi del cosiddetto blocco di Visegrad. Altri avevano contestato l’ammontare del contributo, chiedendo che fosse rivisto al ribasso. Ma nemmeno l’Italia, che pure insieme a Spagna, Grecia, Malta e Cipro aveva chiesto la relocation obbligatoria dei migranti, ha applaudito alla soluzione, preferendo arrivare a un diverso compromesso che sgravi i Paesi di primo approdo dalla responsabilità dei migranti entrati dai loro confini. Adottando una posizione che certo non ha aiutato l’accordo, il governo italiano ha voluto esprimere una posizione “non contraria”, ma chiedendo che fossero avviati presto ulteriori negoziati. Di tutt’altro avviso Stati come Francia e Germania. La ministra dell’Interno tedesca Nancy Faeser ha ribadito di voler arrivare a un accordo, e di non voler accettare nuove pretese. Mentre il francese Gérald Darmanin ha parlato di “compromesso che può funzionare”. Il ministro dell’Interno Piantedosi, ha incontrato la collega tedesca in un bilaterale a margine del Consiglio, un incontro che si è tenuto in contemporanea a quello di Roma tra la premier Giorgia Meloni e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che ha ricordato come la Germania abbia recentemente concesso asilo “a un milione di cittadini ucraini e ad altri 240mila persone di altri paesi”.

La decisione dell’Italia era tra le più attese per la giornata di oggi. Ma la posizione di Piantedosi è stata tutt’altro che netta. “Non voglio esprimere una posizione nettamente contraria ma dobbiamo immaginare su alcuni punti la possibilità di ulteriori negoziati”, ha detto Piantedosi questa mattina, intervenendo nel giro di tavolo al Consiglio Affari Interni. L’Italia, sono le dichiarazioni riportate dall’Ansa, vuole assumere una posizione di “responsabilità” nei confronti del possibile accordo sulla migrazione, che deve però essere dimostrata anche verso “i cittadini italiani ed europei” per una riforma che sarebbe altrimenti “destinata a fallire nella realtà”. Insomma, l’Italia non vuole attribuirsi la paternità di un negoziato che con tutta probabilità non ci vedrà vincitori, soprattutto sul fronte della solidarietà tra Paesi Ue nella redistribuzione dei rifugiati, la cui obbligatorietà era già stata esclusa dalla presidenza di turno svedese dell’Unione così come la maggior parte delle richieste avanzate da Roma in questi mesi. Così già nei giorni scorsi Piantedosi aveva messo le mani avanti, sostenendo che il governo “continua a non puntare sulla relocation”, con buona pace di tutti quelli che in questi anni si sono sbracciati perché l’Europa facesse la sua parte. Piuttosto, l’Italia ha chiesto sostegno sulla “dimensione esterna” dell’Europa, quegli accordi con Paesi d’origine e di transito coi quali il governo spera di risolvere il problema alla radice.

Contrariamente a quanto chiesto dalla Germania, che spingeva per chiudere l’accordo senza ulteriori richieste, Piantedosi ha portato al tavolo alcune delle richieste italiane di modifica al testo, come la “flessibilità sul principio di Paese terzo sicuro” e la responsabilità nei casi SAR (search and rescue) – per quello che andrebbe a sostituire l’attuale meccanismo di Dublino – che dovrebbe “limitarsi a 12 mesi”, e non a due anni. Ma soprattutto il cosiddetto principio di connessione, sul quale, ha detto lo tesso ministro a fine giornata, “notiamo che sussiste un’obiezione sul punto, che resta dirimente e abbiamo difficoltà se non troviamo una forma ulteriore di compromesso”. In sostanza si tratterebbe della possibilità di espellere in Paesi terzi e non di origine. “Questo permetterebbe una proiezione dell’Ue nella dimensione esterna, pur rispettando i diritti umani e il diritto internazionale”, ha spiegato Piantedosi, ringraziando “le mediazioni e i passi avanti ottenuti su altri punti del testo”. Decisamente più scettiche le dichiarazioni del ministro nel corso della giornata, in particolare quelle sull’attuazione delle compensazioni finanziarie per i mancati ricollocamenti che se non altro non saranno dispiaciute al ministro dell’Interno polacco, Bartosz Grodecki: “Pragmaticamente e politicamente questo meccanismo è per noi inaccettabile – ha detto riferendosi ai 20 mila euro – e non sarà in alcun modo accettato né consentito nel nostro Paese che ha già ospita un milione di profughi dall’Ucraina”.

L’Orban furioso

Vogliono ricollocare i migranti in Ungheria con la forza”. È l’accusa lanciata su Facebook dal premier ungherese, Viktor Orban, dopo l’accordo al Consiglio Ue sull’immigrazione  (osteggiato anche dalla Polonia). Secondo il primo ministro di Budapest “è inaccettabile” che la Ue voglia “usare la violenza per trasformare l’Ungheria in un Paese di migranti”.

Chissà come l’ha presa Giorgia Meloni, che di Orban è sempre stata una grande ammiratrice.

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