Sull’alluvione in Romagna il governo sta giocando sporco. Quaranta giorni dopo la catastrofe ancora non c’è un provvedimento legislativo per coprire i costi degli oltre cinquemila “interventi di somma urgenza” indicati dalla regione e dagli enti locali per risanare le città e il territorio, rimuovere i detriti, ripristinare servizi e infrastrutture, riparare gli argini dei fiumi, riaprire le strade di collina devastate dalle frane.
A fronte di un costo per queste prime opere stimato in 1,8 miliardi di euro, di cui cinquecento già spesi con ardite anticipazioni fuori bilancio, alla Regione e ai Comuni sono arrivati finora dallo Stato soltanto trenta milioni di euro. La seconda tranche da duecento milioni stanziata per l’emergenza è stata impegnata dal sistema dei soccorsi: aiuti immediati, contributo per l’autonoma sistemazione degli sfollati e altro. Se a brevissimo non arriveranno nuove coperture finanziarie per pagare ditte e fornitori, le ruspe e i lavori di ripristino di un minimo di normalità potrebbero fermarsi.
I due miliardi di euro stanziati inizialmente dal governo sono in gran parte destinati a coprire i costi della cassa integrazione per le aziende colpite, dell’indennità una tantum agli autonomi, agli aiuti all’export, alla sospensione degli adempimenti fiscali e tributari per aziende e cittadini. Per i “lavori in corso” non ci sono ancora i soldi necessari, mentre non si è ancora vista l’ombra di un ristoro per chi con l’alluvione ha perso tutto, casa, auto, attività. La legge quadro che dovrebbe regolamentare tutta la partita alluvione ancora non è stata approvata dal governo, così come la nomina del commissario che dovrà gestire la difficile opera di ricostruzione. Tutto ancora fermo, bloccato dalla irritante partita politica che si sta giocando sulla pelle degli alluvionati.
Il Consiglio dei ministri che ieri doveva approvare il disegno di legge e nominare il commissario è slittato a martedì prossimo per “impegni personali” della presidente Meloni. L’ennesimo rinvio di un esecutivo che, dopo gli annunci e le passerelle mediatiche iniziali, pare non sia ancora riuscito a trovare i fondi per far fronte ai disastri provocati dallo straripamento contemporaneo di ventitré fiumi, all’allagamento di gran parte dei territori circostanti della “bassa” e alle migliaia di frane che hanno modificato la morfologia dell’appennino, provocando danni stimati finora in circa nove miliardi di euro.
A far crescere la preoccupazione delle istituzioni locali e l’esasperazione di cittadini e imprese sono arrivate nei giorni scorsi alcune dichiarazioni del ministro della Protezione civile, Nello Musumeci, e del sottosegretario alle infrastrutture, Galeazzo Bignami, il vice di Salvini. Alle sollecitazioni della regione e delle comunità locali a decidere e far presto, Musumeci ha risposto che “il governo non è un bancomat”. Mentre Bignami ha fatto infuriare tutta l’Emilia-Romagna con un post in cui ha scritto testualmente: “La Regione ha chiesto 2,3 miliardi subito, sulla fiducia. Voi vi fidereste di Schlein e compagni?”. Della serie, prima di mettere i soldi nelle mani dei “rossi” ci penseremo bene. Esternazioni dal sen fuggite o rivelatrici del comportamento di parte che il governo intende assumere di fronte a questa tragedia nazionale? La convinzione che sta montando nelle comunità colpite è che Meloni, Salvini, Musumeci, Bignami siano più interessati a mettere in difficoltà le amministrazioni di centrosinistra dell’Emilia-Romagna che a risolvere i problemi, risollevare l’economia, le infrastrutture e i servizi delle zone colpite. Il prossimo anno ci saranno le elezioni regionali in Emilia-Romagna e la destra, dopo il fallito assalto della volta scorsa, vuole tentare il ribaltone. Per questo non intende lasciare al presidente uscente Stefano Bonaccini e ai sindaci la gestione del “malloppo” della ricostruzione e lavora per nominare un fiduciario del governo a commissario. Con due nomi in pole position, Dell’Acqua e Vadalà, che evocano perplessità e parecchie ironie. Sempre che il “malloppo” l’esecutivo riesca a trovarlo.