Slap. Gifle. Se amate il tedesco usate il primo. Se preferite il francese, il secondo. Significa schiaffo. Portateli al purale e caricate la dose. Schiaffoni. Metaforici, s’intende, ma pur sempre politicamente pesantissimi. Di quelli che lasciano il segno.
Bordate europee
A prenderli, quei metaforici, sonanti, schiaffoni è la presidente del Consiglio. Globalist, con il prezioso aiuto di analisi e report dei giornalisti/e più capaci nel campo, ha dato conto del totale fallimento della politica securista praticata dal governo più di destra che l’Italia repubblicana ha avuto, sul fronte dell’immigrazione. Hanno attaccato le Ong, stretto patti (scellerati) con i peggiori autocrati della sponda Sud del Mediterraneo. Hanno smantellato il sistema dell’accoglienza diffusa, scatenando l’ira, bipartisan, dei sindaci. Hanno venduto fumo con gli improbabili “piani Mattei” per l’Africa o farneticando di impossibili, per fortuna, blocchi navali. Il risultato è che gli sbarchi sono aumentati come mai in passato e che l’Europa che conta ci ha sbattuto le “frontiere” in faccia.
Così riassume la vicenda il Manifesto: “L’Europa si rivolta contro la gestione italiana dei migranti. Nello stesso giorno Francia e Germania annunciano provvedimenti contro il nostro paese, la prima blindando la frontiera di Mentone con 150 poliziotti, la seconda annunciando aver sospeso i processi di selezione dei richiedenti asilo che arrivano in Germania dall’Italia nell’ambito del «meccanismo di solidarietà volontaria» messo a punto dall’ex ministra Luciana Lamorgese quando era lei la titolare del Viminale. Dietro entrambe le decisioni c’è il rifiuto del governo delle destre di fermare i cosiddetti movimenti secondari e la scelta di non riprendere quanti, dopo essere sbarcati in Italia, si sono spostati verso il Nord Europa. E seppure indirettamente, uno schiaffo al governo Meloni è arrivato dall’europarlamento dove nel corso della plenaria è stato duramente criticato l’accordo siglato a luglio con la Tunisia per fermare i migranti.
Un accordo che porta la firma dell’Unione europea ma fortemente voluto da Giorgia Meloni tanto da essersi recata per ben tre volte nel paese nordafricano. L’accordo, fortemente sostenuto dalla premier Giorgia Meloni, ieri è stato infatti duramente contestato nel parlamento europeo durante il dibattito organizzato nella plenaria, al punto che se l’intesa siglata nel luglio scorso con il presidente tunisino Kais Saied non è naufragata lo si deve solo alla decisione di non far seguire un voto al dibattito parlamentare. Contro il patto si sono schierati Socialisti, sinistra, Verdi e, con motivazioni differenti, anche parte dell’estrema destra. A difenderlo è rimasto solo il Ppe, con il capogruppo Manfred Weber che, ricordando quanto fatto nel 2016 dalla cancelliera Angela Merkel con la Turchia, ha chiesto di provare «a dare una chance ai negoziati».
Che a Strasburgo la strada per il Memorandum non sarebbe stata in discesa era facile intuirlo. Stretto nella speranza (finora vana) di fermare i flussi dei migranti che partono dalla Tunisia – e proprio per questo fortemente sostenuto dall’Italia – l’accordo prevede la fornitura da parte dell’Unione europea di mezzi e finanziamenti che dovrebbe dare un po’ di ossigeno alla fragilissima economia tunisina: in tutto 250 milioni di euro, 105 dei quali per la gestione delle frontiere dati a un paese che calpesta quotidianamente i diritti umani dei migranti al punto da scatenare, lo scorso mese di luglio, una vera e propria caccia ai migrati subsahariani, deportati e abbandonati nel deserto dove in molti hanno perso la vita. L’idea di finanziare un personaggio come Saied, che ha farneticato circa un presunta «sostituzione etnica» dei tunisini, fin dall’inizia non è piaciuta a molti Paesi, specie del Nord Europa con la sola eccezione dell’Olanda.
Malumori ai quali molti eurodeputati hanno dato voce ieri nella plenaria che si è tenuta a Strasburgo. «I soldi dei contribuenti europei non possono essere dati a governi che minacciano i diritti umani», ha detto la capogruppo di S&D Iratze Garcia Perez, mentre i Verdi hanno chiesto alla Commissione di mettere fine a una intesa che «mette in vendita i valori europei». Ricordando alcune affermazioni fatte dal presidente Saied, il capo delegazione Brando Bonifei ha invece definito l’accordo preoccupante «nella forma e nella sostanza».
A sorpresa, però, le critiche al Memorandum non sono arrivate solo da sinistra. L’accordo ha avuto infatti l’effetto di spaccare anche l’Ecr, il gruppo guidato da Giorgia Meloni, con l’eurodeputata belga-burkinabé Assita Kanko: «L’unico suo effetto è un afflusso esplosivo attraverso la Tunisia, l’Ue sta ballando con il diavolo», ha detto”.
Resta la posizione di chiusura di Parigi e Berlino.
Repetita juvant
Francia e Germania chiudono le porte all’Italia. Il ministro dell’Interno transalpino Gérarld Darmanin annuncia l’intenzione di voler blindareil confine tra Mentone e Ventimiglia, sostenendo che è stato registrato “un aumento del 100% dei flussi”.
La Germania avrebbe temporaneamente sospeso l’ammissione volontaria dei richiedenti asilo provenienti dall’Italia. Lo riferisce il quotidiano “Die Welt”, citando ambienti del ministero dell’Interno. Le procedure di selezione per i richiedenti asilo in arrivo nell’ambito del “meccanismo volontario di solidarietà” sono state interrotte e questa decisione è stata comunicata in una lettera a Roma.
Il Ministero dell’Interno ha dichiarato al giornale che questa misura sia stata presa a causa della “elevata pressione migratoria verso la Germania” e della “sospensione in corso dei trasferimenti previsti dalla Convenzione di Dublino”. Continueranno però ad essere ammessi i migranti già accolti in passato. Lo sfondo di questa sospensione è il continuo rifiuto dell’Italia di consentire trasferimenti dalla Germania previsti dalla Convenzione di Dublino.
Secondo l’attuale legge sull’asilo della Ue, i richiedenti asilo che viaggiano in un altro Paese della Ue senza permesso dovrebbero generalmente essere rimandati nel Paese di primo ingresso. Ma da nove mesi questo non è possibile perché l’Italia blocca i trasferimenti previsti dalla Convenzione di Dublino. Con una lettera del 5 dicembre 2022, l’Italia ha informato gli altri Stati membri della Ue che i trasferimenti sarebbero stati temporaneamente annullati per presunti motivi tecnici e per mancanza di capacità di accoglienza. Questa posizione continua ancora oggi. Il “meccanismo volontario di solidarietà” sospeso era un progetto di distribuzione temporanea avviato dal ministro federale degli Interni Nancy Faeser(Spd) insieme al suo omologo francese a livello Ue. L’obiettivo era distribuire 10.000 richiedenti asilo provenienti dai principali Paesi di arrivo, soprattutto dall’Italia, che è particolarmente gravata, al maggior numero possibile di Paesi disposti ad accoglierli, di cui 3.500 alla Germania. Tuttavia, poiché solo pochi Paesi volevano partecipare in modo significativo, l’obiettivo è statoridotto a 8.000 persone. Secondo la Commissione UE, nell’agosto 2023, nell’ambito di questo meccanismo sono state finora distribuite in totale solo circa 2.500 persone, principalmente in Germania e Francia.
Un reportage da incorniciare
E’ quello di Annalisa Camilli, da Sfax, per Internazionale.
“Seduto sul muretto di un piccolo giardino a piazza Beb Jebli, una delle piazze principali di Sfax, in Tunisia, Mohammed Keita aspetta che i volontari della Mezzaluna rossa arrivino a distribuire i pasti. Vengono una volta al giorno e portano da mangiare alle decine di migranti subsahariani che da settimane sono accampati nel giardino, tra la polvere gialla del terreno e i cespugli. Dal 2 luglio, infatti, ci sono state proteste e attacchi della popolazione locale contro gli stranieri, accusati di aver ucciso un tunisino in una rissa, e da quel momento nessuno ha più voluto affittargli le case.
Molti migranti sono stati vittime di maltrattamenti da parte della polizia, alcune decine infine sono stati trasferiti con la forza in una zona desertica al confine con la Libia, a centinaia di chilometri da Sfax, dove sono stati abbandonati senza acqua, né cibo.
Keita, originario della Guinea Conakry, è stanco, affamato, ma soprattutto preoccupato perché non sa che fine ha fatto il figlio, Ousmane, di nove anni. Lo ha perso durante la traversata del Mediterraneo e ora non si dà pace. Si chiede se sia ancora vivo e cosa gli sia successo. “Nella confusione, sulla spiaggia, la notte che ci siamo imbarcati. Ci hanno messo su due piroghe diverse”, racconta. “La mia barca subito dopo la partenza è stata intercettata dalla guardia costiera tunisina e riportata indietro, mentre la sua ha continuato a navigare”. Da quel momento non ha saputo più niente del bambino: spera che sia arrivato a Lampedusa perché in quelle ore non c’è stata nessuna notizia di naufragi, ma non ne ha la certezza.
Keita ora pensa solo a riprovare la traversata. “Ma non ho i soldi da dare ai trafficanti, li ho finiti”. È arrivato in Tunisia dalla Guinea il 20 aprile 2023, ha trascorso quattro mesi a Tunisi, lavorando in un albergo per guadagnare il denaro necessario a partire. Ha dovuto aspettare agosto.
Conosce già l’Europa: “C’ero arrivato nel 2007, sempre attraverso il mare. Ho lavorato e mi sono dato da fare, però non avevo i documenti in regola e ho deciso di tornare a casa. Ma la situazione economica nel paese è terribile, non c’è lavoro. Così quest’anno ho deciso di nuovo di riprovare, portando con me mio figlio”. Ha una sorella che vive in Francia, e vorrebbe raggiungerla.
È partito a gennaio da casa, ha attraversato il Burkina Faso, il Niger e l’Algeria per arrivare in Tunisia. “Per quelli come me le cose in Tunisia sono molto peggiorate dopo che il presidente Kais Saied ha fatto certe dichiarazioni controverse”, osserva. “Da quel momento i tunisini hanno smesso di affittarci le case, si fa fatica a trovare lavoro. Ci sono gruppi di tunisini che ci molestano, vengono a provocarci per picchiarci. La maggior parte delle persone dorme per strada, abbiamo grossi problemi”, denuncia, riferendosi al discorso in cui a febbraio Saied accusava i migranti subsahariani di volere eliminare i tunisini in un piano di “sostituzione etnica”, usando una delle principali teorie del complotto di stampo suprematista, diffusa di solito da gruppi politici dichiaratamente xenofobi e razzisti in tutto il mondo.
Keita ha speso duemila dinari per provare ad attraversare le 99 miglia marittime che separano le coste di Sfax da Lampedusa, la piccola isola del Mediterraneo che è il primo punto di approdo per i migranti sulla rotta tunisina. Ma già due tentativi sono andati a vuoto. La prima volta sono stati intercettati e la seconda è stata fermata solo la sua barca e riportata a Djerba, nel sud del paese. Ha dovuto camminare a piedi per chilometri per raggiungere di nuovo Sfax, il principale porto di partenza dei migranti. Ora vuole a tutti i costi provare di nuovo: “I trafficanti sono tutti tunisini”, assicura.
Partenze aumentate
Secondo il ministero dell’interno italiano, quest’anno le persone arrivate attraverso la rotta tunisina hanno superato quelle approdate con la rotta libica e sarebbero aumentate di più del 300 per cento nei primi mesi del 2023 rispetto allo stesso periodo del 2022. E anche se l’Unione europea ha siglato con Tunisi un Memorandum d’intesa che tra le altre cose mira a rafforzare il controllo delle frontiere e il loro pattugliamento, le persone continuano a partire dirette a Lampedusa. Anzi, per Matteo Villa dell’Isituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), le partenze sarebbero addirittura aumentate dopo la firma del memorandum il 16 luglio. In queste otto settimane sono arrivate in Italia dalla Tunisia quasi 31mila persone, mentre nelle otto settimane precedenti agli accordi ne erano arrivate 19mila.
I principali porti di partenza sono Sfax, le isole Kerkenna, Mahdia, ma anche Zarzis più a sud. Rispetto agli anni passati, la novità è il numero di migranti che arrivano dall’Africa subsahariana e dall’Africa occidentale che vengono in Tunisia per salire su piccole imbarcazioni di ferro, molto precarie, riempite anche con trenta o quaranta persone. “Preferiamo venire in Tunisia che andare in Libia”, spiega Fatima Sefahie, una donna originaria del Burkina Faso. “Qui si è aperta un’occasione per noi”. La Libia infatti è considerata più pericolosa a causa delle violenze efferate e sistematiche a cui sono sottoposti gli stranieri nel paese. Molti raccontano di avere attraversato il deserto tra Algeria e Tunisia a piedi.
Per raggiungere la Tunisia Sefahie ha camminato per giorni nel deserto senza cibo, insieme ai suoi due bambini. Ora dorme su un materasso nella piazza di Sfax, mentre i figli giocano con gli altri bambini, incuranti di quello che accade intorno. Alcuni cucinano con dei fornelli da campo, altri offrono piccoli servizi come il taglio dei capelli o le acconciature con le treccine, per raccogliere qualche soldo in cambio. “Non è facile vivere così, per una donna è ancora più difficile. Qui non ci affittano le case, non possiamo lavarci, non possiamo lavorare”, racconta Sefahie.
“Quando piove siamo sotto l’acqua, quando è caldo, siamo sotto al sole. Non ho nulla di mio, zero”, continua, mostrando un sacchetto di plastica che contiene qualche vestito. La polizia, in seguito a dei controlli, spesso prende i telefoni e gli oggetti di valore agli stranieri. “Nel deserto stanno morendo un sacco di persone, anche donne e bambini. Sono senz’acqua, senza cibo”. Anche Sefahie ha già provato ad attraversare il mare, come la maggior parte delle persone in questa piazza, ma è stata respinta e riportata al punto di partenza dalla guardia costiera tunisina. “La prima volta c’è stato un naufragio, sono morti dei bambini in acqua. Noi siamo sopravvissuti”. Non ha paura di morire: “Sarà dio a decidere. Ma finché vivo continuerò a provare. Non c’è alternativa per me, qui non posso restare”.
Ibrahim Djallo e Boubacar Bari hanno 13 e 14 anni, sono originari della Guinea Conakry. Sono partiti perché le famiglie non avevano soldi per mandarli a scuola. “Vogliamo aiutare le nostre famiglie, lavorare in Europa”, dice Djallo mentre beve un succo di frutta riparandosi dal sole sotto a un cespuglio. Anche loro hanno camminato per chilometri nel deserto tra Algeria e Tunisia. “Lì a Kasserine è un problema grosso per noi migranti: la polizia ci ha derubato, ci ha picchiato con dei coltelli, ci hanno minacciato, poi ci hanno lanciato addosso dei cani”, racconta Djallo. Boubacar Bari è stato morso, si tira giù i pantaloni per mostrare i segni lasciati dai denti dei cani.
Anche i due ragazzi stanno aspettando di avere abbastanza soldi per fare la traversata, non hanno ancora provato. Non sono spaventati. “Non sappiamo quando riusciremo a partire, quello che è sicuro è che ci proveremo”, continua Djallo. Intanto è arrivata una buona notizia: il figlio di Mohammed Keita è sbarcato sano e salvo a Lampedusa, è nell’hotspot e se ne sta prendendo cura un amico di Mohammed, un compaesano. “È vivo”, sospira Keita, che sta cercando di mettersi in contatto con il ragazzo e spera che la sorella possa andare a prenderlo dalla Francia. “Ora non vedo l’ora di riabbracciarlo”.
Quella raccontata magistralmente da Camilli è una umanità dolente e al tempo stesso determinata. Una umanità giovane, che investe sul futuro. Anche la propria vita.
Ma questo i securisti che governano l’Italia non possono, non vogliono, capirlo.
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