Non solo gli immigrati, ma spesso anche coloro nati qui si trovano in una situazione di estremo disagio simile. Gli uni e gli altri, indifesi, sono costretti ad accettare lavori mal retribuiti, senza alcuna garanzia o sicurezza. E troppo spesso mancano i controlli per evitare le nuove forme di caporalato.
Il bisogno impone il silenzio sul fenomeno. Poi, capita che uno dei nuovi schiavi non ce la faccia più e decida di parlare, di denunciare. È quello che è accaduto in Sicilia: un uomo di 43 anni, nonostante le gravi difficoltà economiche, ha trovato il coraggio di rivolgersi alle forze dell’ordine e denunciare il suo sfruttamento come bracciante agricolo per quattro anni e mezzo, senza contratto né garanzia. La denuncia ha dato il via alle indagini, ipotizzando il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, e i due proprietari terrieri sono stati iscritti nel registro degli indagati.
Da chi indaga, c’è riserbo sul protagonista della denuncia, ma in questi anni è stato dimostrato da diverse inchieste che non si tratta di un fenomeno raro. Nell’Agrigentino, dove si è registrata la coraggiosa denuncia, il fenomeno è più accentuato. Crisi e siccità hanno influito sui costi e molti produttori senza scrupoli tendono a far ricadere tutto sul lavoro in nero, superando ogni limite di sfruttamento e coinvolgendo diverse coltivazioni, da stagione in stagione. Nell’entroterra della provincia, a Canicattì, Favara, Racalmuto, ma anche nella piana di Licata e in tanti altri centri, si sa dell’esistenza di punti di raccolta dove ci sono immigrati o lavoratori pronti ad accettare lo sfruttamento pur di mettere in tasca pochi euro da portarsi a casa. Nessuno però vede, pochi hanno la forza di denunciare.
Non solo gli immigrati, ma spesso anche coloro nati qui si trovano in una situazione di estremo disagio simile. Gli uni e gli altri, indifesi, sono costretti ad accettare lavori mal retribuiti, senza alcuna garanzia o sicurezza. E troppo spesso mancano i controlli per evitare le nuove forme di caporalato.
Il bisogno impone il silenzio sul fenomeno. Poi, capita che uno dei nuovi schiavi non ce la faccia più e decida di parlare, di denunciare. È quello che è accaduto in Sicilia: un uomo di 43 anni, nonostante le gravi difficoltà economiche, ha trovato il coraggio di rivolgersi alle forze dell’ordine e denunciare il suo sfruttamento come bracciante agricolo per quattro anni e mezzo, senza contratto né garanzia. La denuncia ha dato il via alle indagini, ipotizzando il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, e i due proprietari terrieri sono stati iscritti nel registro degli indagati.
Da chi indaga, c’è riserbo sul protagonista della denuncia, ma in questi anni è stato dimostrato da diverse inchieste che non si tratta di un fenomeno raro. Nell’Agrigentino, dove si è registrata la coraggiosa denuncia, il fenomeno è più accentuato. Crisi e siccità hanno influito sui costi e molti produttori senza scrupoli tendono a far ricadere tutto sul lavoro in nero, superando ogni limite di sfruttamento e coinvolgendo diverse coltivazioni, da stagione in stagione.
Nell’entroterra della provincia, a Canicattì, Favara, Racalmuto, ma anche nella piana di Licata e in tanti altri centri, si sa dell’esistenza di punti di raccolta dove ci sono immigrati o lavoratori pronti ad accettare lo sfruttamento pur di mettere in tasca pochi euro da portarsi a casa. Nessuno però vede, pochi hanno la forza di denunciare.