La lettera di uno degli scafisti del naufragio di Cutro: "Dispiace per donne e bambini, non ho mai preso soldi"
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La lettera di uno degli scafisti del naufragio di Cutro: "Dispiace per donne e bambini, non ho mai preso soldi"

La lettera, tradotta in italiano, è stata diffusa oggi. Abdessalem è stato arrestato nel dicembre scorso nel carcere di Lecce dove era detenuto nel contesto dell'operazione `Astrolabio´ della Dda salentina. 

La lettera di uno degli scafisti del naufragio di Cutro: "Dispiace per donne e bambini, non ho mai preso soldi"
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12 Giugno 2024 - 14.26


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Mohamed Abdessalem, siriano di 26 anni, ritenuto il sesto scafista del caicco Summer Love naufragato davanti alla spiaggia di Steccato di Cutro il 26 febbraio 2023 e nel quale hanno perso la vita 94 migranti, tra i quali 35 minori, scrive in una dichiarazione depositata dal suo difensore al gup del Tribunale di Crotone nel corso della prima udienza del processo con rito abbreviato che lo vede imputato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, naufragio colposo e di morte come conseguenza del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. 

La lettera, tradotta in italiano, è stata diffusa oggi. Abdessalem è stato arrestato nel dicembre scorso nel carcere di Lecce dove era detenuto nel contesto dell’operazione `Astrolabio´ della Dda salentina. 

«Mi dispiace molto di non aver potuto aiutare gli altri sulla barca, soprattutto le donne e i bambini, ma in quel momento la situazione era terribile. Mi succede spesso di pensare che le persone che sono morte potevano essere i membri della mia famiglia». 

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«Ho perso casa, lavoro e sicurezza, sono stato costretto ad accettare l’offerta di guidare la barca e fare un altro viaggio». Il viaggio era proprio quello poi finito in tragedia a Steccato di Cutro ed «iniziato dalla Turchia il 20 febbraio 2023, mi sono ritrovato su una barca molto grande, che mai avevo guidato prima. Dopo diverse ore, il motore di questa grande barca si è fermato e si è rotto. Sono stato costretto a contattare il responsabile del viaggio per informarlo che il motore della grande barca si era fermato e si era rotto». 

Nel prosieguo della dichiarazione al giudice non afferma mai di aver guidato la Summer Love ma di aver solo aiutato l’equipaggio nelle riparazioni e nei rapporti con i passeggeri: «È arrivata la seconda barca, guidata da tre turchi» che erano «i responsabili del viaggio e della barca, e i passeggeri sono stati trasferiti sulla barca numero 2. Lo ammetto che quando è stato necessario dare un aiuto durante il viaggio ho fornito la mia assistenza e ho anche aiutato a riparare il motore. Poiché parlo arabo, quando c’erano molte domande mi sono offerto volontario per spiegare alle persone che capiscono l’arabo le immagini della mappa, la nostra posizione e l’itinerario per calmarle». Ammette comunque di essere stato parte dell’equipaggio anche se precisa: «Non mi è stato pagato alcun denaro. C’era solo la promessa di pagare al mio ritorno in Turchia».  

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Riguardo alle condizioni della Summer Love, il siriano dichiara che «non era preparata e dotata di misure di sicurezza», inoltre «non avevamo i mezzi per misurare la profondità e non è vero che avevamo un disturbatore o un blocco del telefono. I passeggeri non avevano la possibilità di telefonare semplicemente perché non avevano una Sim internazionale». Infine la descrizione della tragica traversata: «All’inizio del viaggio il mare era calmo, ma ha cominciato a cambiare quando abbiamo raggiunto le acque territoriali Italiane, è diventato alto e mosso. Buio totale ovunque e abbiamo visto la luce sulla terra. La situazione è diventata instabile e il mare è diventato agitato, non ho mai visto un mare così in vita mia, avevo paura, ho chiesto al capitano di chiamare i soccorsi, per evitare di annegare, abbiamo combattuto contro le onde alte per circa 4 ore, nessuno di noi conosceva la zona, era buio, non sapevamo dove andare, l’acqua ha iniziato ad entrare nella barca. I passeggeri avevano paura, quindi abbiamo pensato solo ad avvicinarci alla parte illuminata della terra, non avevamo idea di quale fosse la profondità del mare quando la barca si è scontrata, non c’era niente che potevamo fare, ci hanno detto di buttarci in mare e anche noi ci siamo buttati».  

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