Riforma delle pene: superare l'ergastolo per umanizzare il sistema carcerario
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Riforma delle pene: superare l'ergastolo per umanizzare il sistema carcerario

Perché è necessario riformare il sistema penale italiano, superando l'ergastolo e umanizzando le pene per favorire il reinserimento sociale.

Riforma delle pene: superare l'ergastolo per umanizzare il sistema carcerario
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1 Luglio 2024 - 00.36


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di Antonio Salvati

Ogni qual volta si affrontano le questioni del pianeta carcere abbiamo la concreta percezione di una situazione “fuori controllo”. Dall’inizio dell’anno abbiamo avuto oltre 100 morti tra suicidi e “altre cause”. L’alto numero dei suicidi, finora 47 è in prospettiva quello sempre più allarmante, considerando che il 2022 è stato l’anno del triste primato, con 85 casi accertati in 365 giorni.  Negli istituti di pena sono recluse oltre 61mila persone a fronte di una capienza di 51.178 posti, con 13.500 persone detenute in eccesso. Secondo i dati dell’associazione Antigone, da anni il 40% dei reclusi, è sottoposto a cure psichiatriche, soprattutto di tipo farmacologico. E solitamente il 30% di questi sono tossicodipendenti. Si tratta, però, evidentemente, solo della “cresta” di un fenomeno ben più largo. Altro tragico dato è l’impennata di minori detenuti, nel 2024 già superata la soglia 500 a causa degli effetti nefasti del decreto Caivano. Quel decreto secondo molti operatori del settore, ha introdotto una serie di misure che stanno avendo e continueranno ad avere effetti distruttivi sul sistema della giustizia minorile, aumentando il ricorso alla detenzione e mettendo a repentaglio la qualità dei percorsi di recupero per il giovane autore di delitto. L’estensione delle possibilità di applicazione dell’accompagnamento a seguito di flagranza e della custodia cautelare in carcere, infatti, stravolge l’impianto del codice di procedura penale minorile del 1988 favorendo un’impennata degli ingressi negli Istituti penali minorili.

Un ordinamento punitivo ancora incentrato essenzialmente sul carcere non è efficace e non può più reggere. Soprattutto per l’alto numero di detenuti con un vissuto personale fatto di sradicamento, di dipendenza, di sofferenza psichiatrica, di marginalità sociale, di solitudine, di violenze subite, di disperazione. Anche i migliori operatori del sistema penitenziario faticano a trovare modalità idonee ad attivare un percorso di reinserimento. Serve un ripensamento generale, un’alleanza – tra chi si trova in carcere e chi in carcere opera – per lasciarsi interrogare in profondità sulle radici della situazione attuale. Da notare che la Costituzione non parla mai di carcere. L’art. 27 si riferisce al sistema delle pene al plurale e richiede che le pene non siano mai contrarie al senso di umanità e debbano tendere alla rieducazione del condannato. Un invito a umanizzare le carceri, come si sforzano di fare quotidianamente con il loro impegno molti operatori di giustizia e i tanti volontari. Penso soprattutto al prezioso lavoro svolto da decenni dagli operatori della Comunità di Sant’Egidio.  

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Come restituire oggi alla pena il “volto costituzionale della pena” (felice e intramontabile espressione della Corte costituzionale contenuta nella sentenza n. 50 del 1980)?

È la domanda che si pone Marta Cartabia nella prefazione all’interessante volume di C. Danusso, E. Dolcini, D. Galliani, F. Palazzo, A. Pugiotto, M. Ruotolo, Ergastolo e diritto alla speranza. Forme e criticità del “fine pena mai” (Giappichelli, Torino, 2024). Un libro prezioso perché – osserva Cartabia – proficuamente affronta il problema del significato, «della forma e della misura della pena in tutta la sua dimensione storica e, in secondo luogo, perché lo fa offrendo al lettore una ricchissima documentazione che gli consente di pensare, di riflettere, di farsi una opinione, anche critica, di prima mano». È uno strumento per chi non si accontenta di ripetere opinioni per sentito dire. È un libro «per chi vuol provare a capire sul serio». Utilmente vengono ripercorsi alcuni passaggi storici dell’evoluzione del diritto penale, come quello della sostituzione della pena di morte con la detenzione perpetua, accompagnati da spunti di riflessione anche per il nostro oggi. Non lasciano indifferenti le parole di John Stuart Mill (richiamate da Davide Galliani nell’introduzione) rivolte al Parlamento inglese il 21 aprile 1868, in merito alla proposta di abolire la pena di morte, che sollevano un dubbio radicale sulla presunta “umanità” della pena detentiva perpetua. All’epoca si rifletteva quale fosse la pena più severa e più crudele: se consegnare un uomo al breve dolore di una morte rapida o murarlo vivo per sempre. Nel XXI secolo abbiamo poche nostalgie per la pena capitale, «la cui abolizione nel vecchio continente ha segnato un passaggio di civiltà che appartiene al comune patrimonio costituzionale di cui possiamo essere fieri. E tuttavia, l’osservazione di Stuart Mill ha un grande valore nell’aprire gli occhi sul tasso di sofferenza che si infligge con un fine pena mai». Il carcere non può essere senza finestre, per richiamare una espressione metaforica cara a papa Francesco: «non chiudete la finestra, per favore, sempre guardare l’orizzonte, sempre guardare il futuro, con speranza». Il Papa efficacemente individua l’aspetto centrale del problema: quale pena e quale forma della sua esecuzione non uccide la speranza?

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Se non vuole essere un sepolcro dei vivi, il carcere – afferma Cartabia – deve permettere concretamente di guardare oltre, di volgersi a un futuro possibile. Non può voltare gli occhi dalla realtà, icasticamente descritta dall’apologo di Carnelutti, ancora tragicamente vera in troppe situazioni, per cui “Quando uno c’è entrato, in galera, non ne esce più; crede d’esserne uscito, ma fuori, dopo, è più dentro di prima”. La nostra Costituzione esige che ci sia un dopo.

In merito alla conformità alla Costituzione della detenzione a vita, il volume contiene alcune importanti riflessioni sulle sentenze della Corte costituzionale che hanno dichiarato l’incostituzionalità di alcune forme di ergastolo: anzitutto l’ergastolo inflitto ai minorenni (sent. n. 164 del 1994) e più recentemente l’ergastolo ostativo, rimodulato dal decreto legge n. 162 del 2022 sulla scorta delle indicazioni contenute nelle pronunce della Corte costituzionale (a partire dalla ordinanza del 2021) o ancora sulla illegittimità dell’ergastolo come pena indefettibile (sentenza n. 94 del 2023). Vi sono anche ampie riflessioni sulle decisioni della Corte di cassazione che hanno dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 22 del codice penale, specie in ragione della configurazione in concreto della pena dell’ergastolo nel nostro ordinamento, che non esclude l’accesso ai benefici penitenziari e dopo un certo numero di anni alla liberazione condizionale (reiterate ancora di recente con la decisione della I sez. pen., del 16 giugno 2021, n. 43285).

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Secondo i diversi autori del volume i profili di dubbia legittimità costituzionale sono evidenziati dal contenuto dell’art. 27, terzo comma della Costituzione che esige che le pene non siano contrarie al «senso di umanità»: il fine pena mai può dirsi rispettoso del “senso di umanità”? Inoltre, ci si interroga sulla compatibilità di una pena senza fine certa con la finalità rieducativa della pena, tracciata nel medesimo comma 3 dell’art. 27 Cost.: che significa rieducare un detenuto che non ha prospettive di vita fuori dal carcere? Un altro dubbio sulla costituzionalità dell’ergastolo risiede nell’idea cardine del costituzionalismo, ossia l’idea del limite al potere, ovvero del potere limitato. È proprio l’assenza di un limite nella pena perpetua che suscita dubbi sulla sua costituzionalità.

Ad oggi solo 33 stati hanno abolito la pena perpetua, e da ultimo, fra questi, vi è la Città del Vaticano.

Significativamente la Cartabia richiama il pensiero di un grande protagonista delle riforme dell’esecuzione penale, Mario Gozzini: «in questo ritorno del dilemma ergastolo sì o no io mi schiero razionalmente dalla parte del no – scrive Gozzini – ma non riesco a impegnarmi in una battaglia isolata […]. Razionale davvero mi pare possa essere cogliere l’occasione per riproporre con più forza la questione della pena. Quale senso? Quale fine? Soltanto la reclusione o è tempo di pensare a tipi diversi di pena?».

Un chiaro invito per una rivisitazione della pena dell’ergastolo e delle pene in generale lasciandosi interrogare, senza dare nulla per scontato, sul significato profondo delle parole della nostra Costituzione, su cui non ci sofferma mai abbastanza.

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