Caro Vezio, mi inchino al tuo ricordo
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Caro Vezio, mi inchino al tuo ricordo

In ricordo di Vezio Bagazzini, il compagno Vezio, barista storico di Botteghe Oscure, uno dei simboli della storia del Pci e di chi non rinuncia alle sue idee

Caro Vezio, mi inchino al tuo ricordo
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Gianni Cipriani Modifica articolo

3 Giugno 2011 - 12.37


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di Gianni Cipriani Vezio Bagazzini, o più semplicemente Vezio, il compagno Vezio, il barista diventato parte integrante della storia di Botteghe Oscure ci ha lasciati. Da tempo in pessime condizioni di salute è morto questa notte nel reparto di rianimazione del San Camillo di Roma. Aveva 69 anni.

Purtroppo la morte di Vezio non ci ha colti di sorpresa. Negli ultimi anni le sue condizioni erano andate lentamente ma progressivamente peggiorando. Vezio era minato nel fisico e, anche a seguito di una serie di ingiustizie e prepotenze che aveva subito, era stato costretto recentemente a chiudere il suo bar. Che non era più da tempo quello storico accanto alle Botteghe Oscure, ma era finito in Lungotevere Tor di Nona, zona centrale eppure controllata dalla “mala”, alla faccia dei tanto sbandierati proclami sulla sicurezza e sul fatto che solo gli immigrati rappresentano un problema per l’ordine pubblico.
Ma Vezio, fino ancora a poche settimane fa, non era assolutamente minato nell’animo. Nella sua voglia di esserci, di fare qualcosa, di impegnarsi. Tutte queste “ingenuità” di cui noi ex iscritti al Pci non pentiti e orgogliosi di avere avuto una tessera con la firma di Enrico Berlinguer siamo irrimediabilmente prigionieri.

Vezio l’ho sempre considerato un compagno. Un compagno nel senso migliore dell’accezione. Termine sparito dal lessico (se non in alcune riproduzioni macchiettistiche) che voleva dire, in una sola parola, molte cose. Uno di noi, certo. Ma anche brava persona; persona affidabile; persona disponibile. Un compagno: uno di cui ti puoi fidare. Vezio era per me un compagno. Ed io per lui ero un compagno. Un rapporto che si nutriva di stima e affetto reciproco. Tanto più gratificante per me, fin da quando ero un giovane giornalista de l’Unità, poter essere apprezzato da un pezzo della storia di Botteghe Oscure. Quella parte forse meno nota, compresa la Vigilanza a cui sono e sarò sempre legatissimo, che ha contribuito a dare un’anima ancora più forte ad una esperienza politica.

A distanza di molto tempo posso rivelare un episodio molto significativo: all’inizio degli anni Novanta l’ex capitano del Sid Antonio Labruna, protagonista e testimone di molte delle schifezze fatte dai servizi segreti negli anni della strategia della tensione, cominciò a collaborare con la magistratura che cercava di fare luce sulle stragi fasciste, le trame golpiste e tanti episodi oscuri. Prima che ciò accadesse, Labruna mi contattò e chiese di incontrarmi: cominciò a rivelarmi segreti e retroscena. Inizialmente fui dubbioso e pensai che l’ex ufficiale cercasse di depistarmi o usare me per chissà quali diavolerie o ricatti. Poi compresi che diceva la verità. Ed infatti successivamente raccontò le stesse cose ai magistrati che trovarono molti riscontri.

Ebbene: fu Vezio a indirizzare Labruna da me. Sì, proprio Vezio. Labruna da sempre frequentava il Ghetto ebraico di Roma. E in quel quartiere c’era il bar di Vezio. Il comunista e l’ex agente segreto che lavorava contro i comunisti si conobbero. Vezio capì che Labruna non voleva essere l’unico capro espiatorio di un sistema deviato nel suo complesso. Voleva parlare, far capire che non era il solo “diavolo”, in parte riscattarsi. E disse: “Chiama il compagno Cipriani a l’Unità, lui si occupa di queste cose”. E così andò. Con un piccolo particolare: solo molto tempo dopo Vezio mi disse di essere stato lui il tramite. Cosa che all’epoca ignoravo.

Vezio è stato per tanti un punto di riferimento. Prendere il caffè da lui era entrare in un mondo totalmente diverso da quello che c’era appena fuori la saracinesca del bar. Eppure non si è trattato solo di questo: qualcuno, anche recentemente, forse a parziale giustificazione di scelte e percorsi politici che lo hanno portato oggi a fare e predicare l’opposto di quanto diceva e faceva all’epoca del Pci, ha cercato di ricordare (anche con affetto) Vezio come una sorta di ultimo giapponese, o di nostalgico senza speranza incapace di vivere la modernità. Una sorta di rappresentante del folklore comunista di cui sorridere. Magari con benevolenza, ma pur sempre sorridere.

Io non sono d’accordo. Vezio a mio giudizio ci ricordava l’importanza delle radici e della memoria, senza le quali siamo barchette di carta in balia dei marosi. E giorno per giorno ha testimoniato una bellissima frase di Enrico Berlinguer, che in una intervista televisiva, alla domanda su quale fosse cosa che lo rendesse orgoglioso rispose: “Quella di essere rimasto fedele agli ideali della mia gioventù”.

Ciao Vezio, mi inchino al tuo ricordo. E ti saluto con la frase di Giorgio Amendola che era il tuo motto e che hai ripetuto solo poco tempo fa salutandoci alla festa in tuo onore che avevamo organizzato: “A nuove lotte”.

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