Tre anni di Alemanno. La capitale vede nero
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Tre anni di Alemanno. La capitale vede nero

Lo scandalo Parentopoli, i declini di Atac e Ama, l’obbligato rimpasto di giunta, il fallimento del piano nomadi, il dramma dell’emergenza abitativa. La Destra sociale affonda.

Tre anni di Alemanno. La capitale vede nero
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12 Settembre 2011 - 16.03


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di Giacomo Russo Spena


L’altro balcone fatale.
Sono passati più di tre anni da quando Gianni Alemanno, primo sindaco di destra a vincere a Roma, si è affacciato dal balcone del Campidoglio, accolto da una folla festante e qualche saluto romano. Tanto che il primo cittadino è stato costretto subito a correre ai ripari annunciando la sua dedizione ad essere “il sindaco di tutti”. Malgrado quella celtica al collo esprima un certo radicamento sociale e culturale. Ora è tempo di bilanci. E tra lo scandalo Parentopoli, i repentini declini di Atac e Ama, l’obbligato rimpasto di giunta, il fallimento del piano nomadi (su cui aveva tanto battuto durante la campagna elettorale), il dramma dell’emergenza abitativa, lo sgretolamento economico e sociale della città pare difficile – se non impossibile – dare la sufficienza all’uomo della Destra sociale italiana.


Il sacco di Roma.
La giornalista Nicoletta Orlandi Posti nel suo libro Il sacco di Roma (Editori Internazionali Riuniti) fa un’attenta disamina dell’operato del primo cittadino soffermandosi sui punti salienti che caratterizzano il suo pessimo mandato. Finora. “In tre anni di amministrazione Alemanno, durante i quali i romani hanno visto aumentare le buche sull’asfalto, gli stupri al decoro urbano, il traffico più caotico unito alla latitanza degli autobus, il raddoppio del prezzo delle mense scolastiche e l’erosione di tutti i servizi sociali, la Chiesa Cattolica ha ricevuto attenzioni come mai era avvenuto in precedenza”, scrive Orlandi Posti soffermandosi sui finanziamenti comunali finiti nelle tasche dell’Opera romana pellegrinaggi. Mentre il capitolo del libro “la banda del buco” ricorda come Roma nel 2008 aveva certificato un debito di 8 miliardi di euro, adesso superiore (malgrado quel che dica Alemanno) ai 12 miliardi con la Capitale che sta vivendo un impoverimento generale a causa del taglio a servizi sociali e aumento di tasse. Con lo stesso primo cittadino, in evidente difficoltà, costretto a marciare contro il suo stesso governo nazionale. Consapevole che i conti ormai non tornano più. (…)

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Le mani sulla città,
(Alegre Edizioni) scritto dall’architetto Paolo Berdini e dal giornalista Daniele Nalbone analizza lo stretto rapporto tra il primo cittadino e i poteri forti. Tra Alemanno e i furbetti del quartierino. Cosa si nasconde dietro queta nuova colata di cemento che in barba al piano regolatore sta invadendo la Capitale? Cosa c’è dietro il progetto dell’abbattimento del quartiere Tor Bella Monaca? Per il giurista Guido Rossi “allo stato attuale il mercato finanziario del nuovo capitalismo è interamente nelle mani degli speculatori, mentre chi produce è costretto a recitare il ruolo di comparsa”. E dopo aver conquistato il sistema d’impresa, il mercato finanziario si è quindi impadronito delle città con periferie abbandonate a se stesse ed enormi speculazioni dietro ai cosiddetti Grandi Eventi (Mondiali di nuoto). “L’Aquila – scrive Berdini – diventa metafora per descrivere quel che è avvenuto nel ventennio della cancellazione delle regole urbanistiche: in questo lasso di tempo ogni intervento urbano è stato ridotto a terreno di conquista”.

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Ancora i palazzinari.
Così Alemanno, l’uomo della destra sociale, ha sottoscritto un patto con i Caltagirone, i Bonifaci, i Toti (e compagnia bella) aumentando, con deroghe al piano regolatore, cubature su cui poter costruire e delegando ai palazzinari l’emergenza abitativa con la scusa dell’housing sociale (progetto del tutto fallito e soprattutto non “sociale”). Con l’attuale accordo di programma si può ormai edificare dappertutto, su aree destinate a verde, servizi pubblici o destinati ad agricoltura. Ma gli autori del libro non affidano la responsabilità dell’esistente solo ad Alemanno ma puntano il dito anche contro la giunta precendente che ha governato Roma: “Il modello Veltroni è stato sostituito dal laboratorio Alemanno ma non c’è differenza: il cemento è sempre lo stesso. Ci sarebbe bisogno soltanto di coraggio per fermare definitivamente l’espansione urbana e realizzare moderne linee di trasporto su ferro in periferia. Ci vogliono i soldi, certo, ma non è per questo che paghiamo le tasse?”.

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