Il terribile sospetto
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Il terribile sospetto

E se la disponibilità di Berlusconi a dimettersi offerta a Napolitano fosse solo mossa tattica, intelligente o meno? Saranno gli avvenimenti dei giorni che verranno a dircelo.

Il terribile sospetto
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9 Novembre 2011 - 13.57


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di Enrico Fierro

Non mi piace l’euforia di queste ore, questo senso di liberazione che prende tanti per la cosiddetta fine di Berlusconi. Sì, cosiddetta, presunta, perché Berlusconi non è finito. La sua disponibilità a dimettersi offerta a Napolitano è una mera mossa tattica, intelligente o meno saranno gli avvenimenti dei giorni che verranno a dircelo. Quello che è chiaro è che Silvio Berlusconi non vuole e soprattutto non può mollare. Se perde il potere perde tutto. Un solo esempio, è bastato che il voto alla Camera sul rendiconto certificasse che non ha più la maggioranza perché le azioni Mediaset subissero un ribasso. Roba forte, milioni di euro volatilizzati.

Berlusconi sa che se salta il tappo del potere si liberano forze. Basta una normale ed europea legge che regoli il mercato pubblicitario stabilendo dei tetti alla raccolta degli spot televisivi perché le sue aziende entrino in crisi. Basta una occidentalissima legge sul conflitto di interessi perché il suo impero venga messo in discussione. Basta che il Parlamento fermi le tante leggi ad personam oggi sul tavolo, perché gli interessi suoi, della sua famiglia e delle sue aziende, subiscano un duro colpo.

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Basta che la magistratura si senta finalmente liberata da pressioni, ricatti, leggi e riforme che incombono come una mannaia sulla sua autonomia, perché inchieste oggi al rallentatore subiscano un colpo di acceleratore. Berlusconi, quindi, combatterà fino alla fine, le studierà tutte, cercherà di recuperare “traditori” e “infedeli”, per non perdere l’unica cosa alla quale tiene come l’aria che respira: il potere. Ma ammesso che l’entusiasmo sia vero, che sia giusto festeggiare, stappare bottiglie e sventolare bandiere come se fossimo nel giorno della Liberazione, ammesso che Berlusconi sia finito davvero e per sempre, un dato è certo.

Muore Berlusconi, ma il berlusconismo è vivo e vegeto. Muore, politicamente, s’intende, il Cavaliere nero, ma la battaglia inizia col suo cadavere (politico) ancora caldo. Perché peggio di Berlusconi è il berlusconismo. Quella malattia che dal 1994 (giusto per offrire una data, ma il male ha radici che risalgono agli anni Ottanta del secolo scorso), ha infettato la politica, la cultura, il costume e il modo di essere della società italiana. Come una lue la malattia è entrata in tutti i pori della vita del Paese, dentro la cultura, la società e dentro il corpo e l’anima dei partiti di opposizione.

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Il cesarismo che sostituisce la democrazia, l’ideologia del successo e dell’apparire a tutti i costi che uccide la solidarietà (chi è povero si deve vergognare dei suoi insuccessi), la comunicazione che ammazza la politica (l’una è allegra e semplificata, l’altra è dura e noiosa), il trasformismo come regola di vita. Per non parlare del fascismo che ritorna, del razzismo diventato linea politica e di governo con un partito come la Lega che ha il ministro dell’Interno. E’ forte il berlusconismo, è un sistema di potere che governa città e regioni, ha suoi uomini che lo rappresentano esaltando – al peggio, ovviamente – le sue caratteristiche e la sua ideologia. E’ un personale politico che non mollerà il potere, che forse si riciclerà sotto altre bandiere (Udc, Terzo Polo finiano, Montezemolo-Della Valle, forse anche Pd e dintorni), ma che ha impregnato di sé istituzioni, democrazia, governi locali.

La rivoluzione è lontana, non stiamo assistendo al ripetersi di avvenimenti storici (questa volta la storia si ripete ma sotto forma di farsa), non è la caduta del fascismo: è peggio. Non ci sono eserciti di liberazione e generosi partigiani alle porte, ma gattopardi. Ecco perché non mi piace l’entusiasmo di queste ore. Perché so che la battaglia per liberare il Paese da questa gente sarà lunga e difficile. Richiederà tempo, abnegazione, organizzazione, idee, uomini e donne, giovani e anziani, che si muovono, che scendono in campo sotto bandiere che si chiamano solidarietà, equità sociale, trasparenza, giustizia, rispetto delle regole, democrazia, unità nazionale. Esattamente come fece un uomo solo nel lontano 1994 uccidendo le speranze dell’Italia onesta.

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