Promesse solenni. Le fonti sono autorevoli. Proposte di legge depositate in Parlamento e alcuni dettagli forniti dal noto quotidiano “comunista” Corriere della Sera. Difficile nutrire dubbi sull’esistenza di qualche trama anti sistema dunque. Partiamo da Montecitorio. Solenne impegno di uno dei questori della Camera: «Occorre regolarizzare la figura dell’assistente parlamentare e dargli una dignità sul modello europeo. Dargli qualifiche e uno stipendio determinato per legge, che poi verrà erogato direttamente dal Parlamento». Ora si che facciamo piazza pulita dei furbetti poco onorevoli del quartierone.
Assistenti tuttofare. Questo sì che è parlar chiaro, ti dici. Fine degli intrallazzi con finti “Assistenti” dell’onorevole, pochi, stando ai numeri ufficiali. Solo 236 per 630 deputati. Onorevoli “fai da te” parrebbe, sulla base delle dichiarazioni depositate. Poche, come abbiamo visto. Anche se, rovistando tra i numeri, scopri che alcuni sono registrati come colf o autisti. Ce lo rivela lo stesso questore onorevole Mazzocchi che ha a che fare con la quotidiana contraddizione di commessi della Camera pagati come Amministratori delegati e di precari plurilaureati del sottobosco della piccola politica.
Regole eccezionali. Data le premessa, l’ufficio di presidenza di Montecitorio, ha dato incarico al presidente della Commissione lavoro di scrivere un disegno di legge nel quale mettere in fila tutte quelle belle cose. Mira ed ammira: «I componenti del Parlamento hanno diritto a essere assistiti da collaboratori personali da loro liberamente scelti. Le Camere assicurano la copertura delle spese effettivamente sostenute per l’impiego di tali assistenti, secondo condizioni e modalità fissate dall’Ufficio di presidenza della Camera». Aspetta un attimo che rileggo, certamente devo essermi sbagliato.
Arbitro venduto. Proviamo a dirlo con parole nostre, da villani (nel senso di campagnoli lontani dai Palazzi e dal loro forbito loquire). L’Ufficio di presidenza della Camera affida ad una legge il compito di fissare regole trasparenti, regole, sui collaboratori dei parlamentari che vengono pagati coi nostri soldi, colf o autisti che risultino. La legge partorita da tanta e tale saggezza legislativa, rinvia la Presidenza della Camera di fissare “Condizioni e modalità” per regolare le spese “effettivamente sostenute per l’impiego di tali assistenti”. Qualcuno ci piglia per il sedere nascondendolo, per alleviare il dolore.
Rendere mai conto. Facciamo un esempio più alla nostra portata (di chi scrive NdR). Come se nel mondo del calcio la presidenza della Federazione dei Club decidesse le regole per la designazione e l’imparzialità arbitrale delegando alla Federazione stessa il controllo sul corretta applicazione della regola, decisa dai controllati, sul comportamento degli arbitri controllori. Oppure mille altre assurdi arzigogoli pur di non stabilire una regola, tipo il pagamento diretto da parte del Parlamento, di questi preziosi e spesso evanescenti collaboratori di tanti onorevoli distratti. Invece basta una “rendicontazione”.
Io dichiaro che. L’autocertificazione di aver speso per uno o più “assistenti”, una somma almeno pari al massimo rimborsato: 3.690 euro mensili pro capite alla Camera e 4.180 al Senato. Esentasse, ovviamente, dato lo scopo nobile della spesa “rendicontata”. Contratto di lavoro? Non se ne fa cenno. Contributi e TFR accantonato, come per qualsiasi bottegaio? Neppure. Il capitolo «qualifiche»? Lo «stipendio determinato per legge»? La «dignità sul modello europeo»? Nella bozza di legge non se ne fa neppure cenno, ovviamente per banale e incolpevole distrazione a breve certamente sanata.
Doppio, triplo incarico. Altra “distrazione” puntigliosamente rilevata da Sergio Rizzo, la questione del doppio lavoro. Oggi è consentito ai parlamentari di continuare a esercitare senza limitazioni un’attività professionale privata parallela. Pensiamo soltanto al battaglione di Onorevoli Avvocati impegnati nella difesa dell’ex premier Silvo Berlusconi. Per loro, va ancora bene se non arriva il “Doppio assistente”, visto che ne avrebbero pure bisogno nell’ossessivo andirivieni tra il Tribunale di Milano e le assemblee della rappresentanza massima della nostra democrazia. Pendolari della legge uguale per tutti.
Sacrifici dispari. Ma finalmente, ci assicurano di fronte all’emergenza nazionale dei sacrifici, fine dei “vitalizi” e passaggio -come per tutti- dal regime retributivo a quello contributivo. Finalmente tutti davvero eguali, uno applaude! Illusi. Articolo 5 della sopracitata legge: deputati e senatori hanno diritto tanto «alla corresponsione di un assegno di fine mandato», cioè la liquidazione, quanto a «un assegno vitalizio». Anche questi, naturalmente, stabiliti da ciascuna Camera. E le nuove regole pensionistiche che ci faranno invecchiare sul lavoro e ci rosicchiano pensioni diversamente laute? Stabilirà ciascuna Camera.
“Media” europea a sei. L’indennità parlamentare, all’inizio di 6.200 euro netti al mese, salvo aumenti «in rapporto alla media degli incrementi delle indennità parlamentari dei sei principali stati membri dell’Unione europea». Conclusione? «Ai parlamentari europei compete un’indennità netta maggiore di circa 1.000 euro rispetto a quella dei parlamentari italiani e la fantasmagorica (testuale, ndr) cifra di oltre 11 mila euro mensili della nostra indennità parlamentare corrisponde in realtà, al netto delle ritenute… a una cifra significativamente inferiore ai 5 mila euro netti». Ma a noi i conti non tornano affatto.
Meno soldi ai Partiti. Cala contemporaneamente la generosità militante degli onorevoli verso i loro partiti. I parlamentari del Pd versavano 1.500 euro mese al partito. Come i loro colleghi dell’Udc. Alla Lega la quota sale a 1.800 euro. Meno generosi nel Pdl, 800 euro solo su base volontaria. Ora però la scure sul contributo per il “portaborse”, divenuto contributo per l’esercizio del mandato sta per spaccare parlamentari e loro gruppi di appartenenza. Meno soldi per il cosiddetto “portaborse” fantasma, meno soldi ai partiti, pare sia la reazione di molto onorevoli taccagni. Tagli ti che taglio io, pare la logica.
Assente non giustificato. Deputati e senatori continueranno a percepire i loro 3.500 euro netti mensili a titolo di diaria, per le spese di mantenimento a Roma. Adesso anche il Senato, come alla Camera da qualche mese, registro delle presenze. Come a scuola. 200-300 euro per ogni assenza ma non più soltanto in aula ma anche nelle commissioni. Va precisato, a fronte di tanto e tale sacrificio, che diaria e rimborso spese sono esentasse. Deputai e senatori pagano l’Irpef solo sull’indennità in senso stretto, una delle tre voci del loro “stipendio”. Di conseguenza, un risparmio del 53 per cento rispetto agli altri contribuenti.
Tasse per tutti, salvo eccezioni. 110.000 euro senza pagare l’Irpef, con un risparmio d’imposta di circa 50.000 euro. Il deputato tipo riceve in un anno complessivamente 246.295 euro (indennità lorda annua di 135.400 euro e altri benefits pari a 110.895) e subisce una tassazione ai fini Irpef di 44.628 Euro. Se le stesse somme, a titolo di stipendio e di benefit, fossero corrisposte a qualsiasi altro cittadino, manager o alto dirigente, l’imposta Irpef dovuta ammonterebbe a 95.031 Euro”. Conclusione: un risparmio di imposta di 50.403 euro. Decisamente non male ma sul tema non esistono correttivi in vista.
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