Sì, in definitiva ha ragione Gene Gnocchi: Grillo parla come Berlusconi, e dice pure le stesse cose. Meglio la mafia dello Stato? Quasi. Ma non basta; si può anche uscire dall’euro, e perché non ci abbiamo pensato prima? Svalutiamo e via. E che importa se poi usciamo dal mercato unico, quisquilie, pinzillacchere direbbe Totò; torneranno gli antichi dazi doganali a fermare le nostre merci alle frontiere, ma tanto esportiamo poco. Così settant’anni di costruzione europea, certamente imperfetta, inutile ripeterlo, vengono liquidati con una battuta da avanspettacolo dal riformatore piazzista che conduceva “Ve la do io l’America” e poi replicava con “Ve lo do io il Brasile”. Ma è storia di tanti anni fa.
Il trionfo della frescaccia è in ogni affermazione grillesca, che confonde il diritto con il qualunquismo da strada, che afferma principi giusti e li mescola con il disprezzo per la politica e i politici, come fanno, da sempre, tutti i veri populisti che puntano a conquistare un potere personale assoluto. Ma in questa contestazione ottusa dell’Europa – cioè non politica, non in grado di elaborare una nuova visione europeista fondata sulla democrazia e i diritti – c’è la faccia del solito nazionalismo da italietta. Non a caso antieuropei sono stati il fascismo, la Lega, e Berlusconi.
E’ l’autarchia come metodo e slogan per evitare la fatica del pensiero, dell’elaborazione, della riforma e del cambiamento del sistema politico e dei partiti, di un progetto nuovo su cui fondare la Repubblica e la sua storia che non prescinde né dall’Europa, né dal Mediterraneo, né dal consesso internazionale.
Abbiamo infine visto in questi anni, con sbalordimento, chi ha portato in Parlamento un leader certamente antiberlsuconiano come Di Pietro: liste improvvisate, raccogliticce, porte aperte a casaccio al primo che passava, ed ecco i salvatori di Berlusconi che ad ogni voto saltavano fuori anche dall’Italia dei Valori.
La superficialità sulla mafia è un altro sintomo di questo respiro corto: è la parola stentorea e vuota che rifiuta la memoria dei morti ammazzati per difendere lo Stato e la democrazia di questo Paese; da Grillo è venuto, su questo tema, va detto con chiarezza, un messaggio terribile: le sue parole sono un’ombra che si allunga fino a diventare un peccato morale di favoreggiamento indecente. Ricordiamo il ministro dei lavori pubblici Pietro Lunardi, quello della cricca, che sosteneva più o meno: per fare le grandi opere con la mafia bisogna convivere.
E poi naturalmente la tassa sulla casa, che affama gli italiani. Già. Con questo stesso argomento, nel nostro Paese di corta memoria, il Cavaliere sparaballe Silvio Berlusconi, vinse un’elezione che portò lui al potere e precipitò lentamente il Paese nel baratro. La semplificazione sloganistica e auto compiacente è, da sempre, lo strumento dei tribuni che detestano i Parlamenti e vogliono rovesciare i sistemi.
Come se tutte le abitazioni, tutte le proprietà, tutte le ricchezze immobiliari e di altro genere di questo Paese fossero uguali, come se battersi per un sistema di tassazione giusto non fosse una battaglia civile che vale la pena di essere combattuta, come se la giustizia sociale non passasse, faticosamente, da queste lotte ma dalle urla e dal sarcasmo.
Si dirà: ma molti di quelli che stanno con lui sono persone in gamba, ragionano bene, hanno buone idee. Anche molti elettori e amministratori della Lega Nord erano “brave persone”; è meglio che ce lo ricordiamo tutti: “le brave persone” spesso fanno sbagli clamorosi. Lo sfascio odierno figlio di un sistema corrotto, screditato, lacerato da vent’anni di berlusconismo, non sarà riparato dall’ascesa dell’ennesimo movimento “con un uomo solo al comando”. Uno che dice: non andate in tv, in tv ci vado solo io. Esattamente, ancora una volta, come il Cavaliere.
La discendenza televisiva dei due è la stessa: l’antipolitica, cioè il rifiuto non solo dei leader dei partiti ma delle stesse istituzioni repubblicane e delle loro regole, della loro autorevolezza, accomunano il comico e l’amico dello stalliere di Arcore. L’Italia ha certamente bisogno di una nuova classe politica, ma questo significa ricostruire, educare, studiare, elaborare e lottare. La partecipazione deve diventare un fatto vero e perché questo sia, i nuovi movimenti politici e sociali devono essere in grado di esprimere gruppi dirigenti alternativi non altri capi e super-capi con relative corti. Vent’anni fa un certo Umberto Bossi parlava, anche lui, il linguaggio dell’antiromanità, dell’anticasta, del ‘ghe pensi mì’ in versione casereccio-varesotta.
Eccoli là i leghisti, prima alfieri di un razzismo e in un isolazionismo impresentabili, oggi preda dei loro deliri di potere e di un sottopotere barbarico. Non c’è un movimento che nasce puro colmo di giustizia, si è figli di questa contorta e incerta storia nazionale, bisogna ricordarlo, bisogna avere memoria, bisogna riparti. E infine guardando alla fatal Parma viene un po’ da ridere. Il Giornale, Libero, il Pdl (non ufficialmente per carità), pregano Dio che vincano i grillini. Vorrà pur dir qualcosa, no?
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