In Italia a essere più povere quando si separano, sono le donne. A dirlo è l’Istat che nel suo ultimo studio ha fatto i conti: una donna su quattro, nei primi due anni dopo la separazione, è a rischio povertà, in un rapporto di uno a sei per gli uomini. A fronte di padri che per dare i soldi alla ex moglie vanno a dormire in macchina, l’Istat precisa che le donne separate maggiormente a rischio sono quelle che pagano affitto ma anche quelle non avevano occupazione durante il matrimonio. Per l’esercito dei padri “nuovi poveri” a causa del mantenimento dei figli, che in Italia sarebbe il 13,8% della popolazione, c’è stato l’affido condiviso che – introdotto in Italia nel 2006 – ha offerto, oltre alla possibilità di attuare la giusta bigenitorialità, anche la breccia di affidi con domiciliazione presso il padre, intervento economico diretto e assegnazione della casa, perché se fino a poco tempo fa un minore non veniva allontanato dalla madre se non per gravissime ragioni, adesso capita sempre più spesso di sentire casi in cui il minore viene sottratto alla madre e messo in casa famiglia, o addirittura presso il padre teoricamente abusivo. Cosa è successo quindi in Italia?
Il movimento dei padri separati, originariamente nato per denunciare il fenomeno delle sottrazioni internazionali di bambini in seguito a divorzi, è diventato un movimento che è arrivato, attraverso una fitta campagna svolta sul web e sui blog, a tacciare le donne che si occupano di diritto di famiglia, minori, violenza di genere, di nazifemminismo. Padri separati con all’attivo processi per maltrattamenti coniugali, che inneggiano a un movimento maschile i cui cavalli di battaglia sono due: la “falsa accusa” – ovvero che la maggiornaza delle violenze di genere sono false e che le donne ci marciano – e la Sindrome di Alienazione Parentale (Pas), che fa passare abusi e maltrattamenti in famiglia come invenzioni o esagerazioni del genitore che denuncia abusi in casa e che è, nella stragrande maggioranza, la madre. Ma “rivendicare l’affido di un figlio da parte di un padre che ha come obiettivo non l’accudimento ma la risoluzione di un problema economico che lo coinvolge, non è giusto”, dice Rossella Santi, avvocata esperta di diritto di famiglia presso lo sportello della Casa delle donne di Roma.
Per chi non conoscesse questo acronimo, Pas sta per Parental Alienation Syndrome ed è una malattia inventata dallo psichiatra americano Richard Gardner che, oltre a essere un falso professore universitario morto suicida, sosteneva che “c’è un po’ di pedofilia in ognuno di noi”. Secondo Gardner la sindrome è “il risultato di una programmazione (brainwashing) effettuata da un genitore indottrinante e del contributo in proprio offerto dal bambino alla denigrazione del genitore bersaglio. Il contributo del bambino alla vittimizzazione del genitore bersaglio rappresenta l’elemento chiave che legittima la diagnosi di Pas”. Cioè se un figlio o una figlia non vuole vedere uno dei due genitori, significa che l’altro/a ha manipolato il minore fino a farlo ammalare di Pas. Una sindrome che viene oggi spesso usata in maniera acritica nei tribunali per le consulenze tecniche d’ufficio (CTU) fatte da psicologi incaricati dal giudice di fronte a contrasti sull’affido dei figli, malgrado questa malattia, in realtà, non esista. La Pas è stata negli ultimi dieci anni sottoposta a rigorose verifiche scientifiche, sia di parte psichiatrica sia di parte giuridica, e già nel 2002 la professoressa Carol Bruch, docente di discipline giuridiche all’Università Davis della California, concluse che la Pas non ha “né basi logiche né tantomento scientifiche”, mentre nel 2009 le psicologhe Sonia Vaccaro e Consuelo Barea nel loro libro “El pretendido Síndrome de Alienación Parental – un instrumento que perpetúa el maltrato y la violencia”, rilevarono come la Pas sia solo un “costrutto pseudo-scientifico” che, utilizzato in ambito giudiziario, genera “situazioni di alto rischio per i minori e provoca una involuzione nei diritti umani di bambine e bambini e delle madri che vogliono proteggerli”.
Qui in Italia, invece, il passaggio dal rivendicare il sacrosanto diritto alla frequentazione dei figli e alla bigenitorialità, alla restaurazione del pater familias, è stato un attimo. Oggi, martedì 5 giugno alle 14.30, la Commissione giustizia del Senato discute il ddl 957 che oltre a reintrodurre il concetto di patria potestà (cancellata dalla normativa sul diritto di famiglia del ’75) – modifica che recita “Se sussiste un incombente pericolo di grave pregiudizio per il figlio, il padre può adottare i provvedimenti urgenti ed indifferibili” (Art. 316, Esercizio della potestà dei genitori) – introdurrà la Pas come norma di legge per cui “il comprovato condizionamento della volontà del minore, in particolare se mirato al rifiuto dell’altro genitore attivando la sindrome di alienazione genitoriale, costituisce inadempienza grave, che può comportare l’esclusione dall’affidamento”.
Per Elvira Reale, psicologa che dirige a Napoli il Centro Clinico sul maltrattamento delle donne a Psicologia Clinica (ASL) ed è docente all’Università Federico II, “inserire la Pas in una legge come quella che si discute in Senato significa volere l’affido condiviso sempre e comunque, senza i paletti necessari per la protezione dei minori e fingendo di non sapere che oggi la violenza all’interno delle famiglie è un rischio elevatissimo e attestato anche dal Consiglio di Europa”.
E se è vero che in Italia e in Europa, come scrive l’avvocata Barabara Spinelli – dossier per l’Onu “Femicide and feminicide in Europe. Gender-motivated killings of women as a result of intimate partner violence” – il 70% dei femmicidi è legato a violenza domestica, il non riconoscere questa violenza nei tribunali, e anzi consegnare in mano del genitore abusante i bambini, significa mettere a rischio una fetta importante della popolazione con tanto lascia passare legale timbrato dallo Stato.
“Il diritto di protezione di donne e minori – continua Reale – viene prima del diritto alla bi-genitorialità: le donne rischiano la vita nella violenza intrafamiliare e i minori rischiano, se non la vita, la loro integrità psico-fisica. La conseguenza che questa legge avrebbe nei tribunali rispetto alle donne che già si vedono sottrarre i figli portati in case famigli o direttamente ai padri, è che le madri non denunceranno più comportamenti genitoriali di abuso, violenza e molestie, perché avranno paura di non essere credute”. Perché di solito sono proprio i genitori abusanti e maltrattanti che, respingendo le accuse, lanciano il dubbio che il minore sia affetto da Pas, trovando terreno fertile in psicologi che la diagnosticano senza sapere che non ha alcun fondamento scientifico. “Per fare un esempio, mi ricordo un caso- ricorda Reale – in cui i maltrattamenti fisici a due bambine, picchiate anche per futili motivi, sono stati considerati atteggiamenti normativi, ma soprattutto lavaggi intrusivi e dolorosi ripetuti nelle parti intime di bambine piccole sono stati definiti da una Ctu come pratiche di lavaggio maldestre”.