Una cosa ormai è chiara: il professor Monti non può più essere considerato un tecnico prestato alla politica, un civil servant pronto a rientrare nei ranghi una volta concluso il proprio lavoro. Schivata l’ipotesi di elezioni a ottobre, il salto ormai è fatto: nella prossima legislatura la politica dovrà ancora passare da lui, anzi fare i conti con lui. Che non è un personaggio morbido, come sa Squinzi, che si è visto accusare di alto tradimento della finanza nazionale per aver criticato la spending review.
Lui stesso non esclude più di tornare a guidare il governo, nella prossima legislatura, anche perché sullo spread pesa non poco l’incertezza sul futuro quadro politico italiano, osserva: quasi a sottolineare i rischi di un ritorno dal governo dei tecnici a quello dei partiti. Per il mondo politico Monti è un ingombro e insieme una risorsa. Ingombro per chi punta al Quirinale o a Palazzo Chigi. Risorsa per chi sa che nella prossima legislatura sarà fuori dei giochi e potrà rientrarvi solo in una grande coalizione oppure si rende conto che il lavoro “sporco” fatto da Monti non ha risolto i problemi dell’Italia, e che bisognerà continuare sulla linea di lacrime e sangue.
E tuttavia anche per il professore la partita non è facile, in un quadro politico estremamente sfilacciato e confuso: perché è vero che nella prossima legislatura bisognerà continuare a muoversi nel suo solco (certo nessuno può pensare di vincere le elezioni promettendo di smantellare le riforme del governo tecnico, o di dichiarare guerra all’Europa e magari di uscire dall’euro), ma nessuno al momento sembra intenzionato a fargli posto e a lasciargli la candidatura a Palazzo Chigi (semmai a invocare, dopo, il suo ritorno).
Allo stato attuale lo schema politico più forte è quello che ruota attorno all’asse Pd-centristi: la famosa alleanza fra progressisti e moderati. Una riedizione dell’alleanza prodiana, dicono alcuni, ma con la differenza sostanziale: che a guidarla stavolta sarà il segretario del maggior partito, cioè Bersani, che ha rinunciato alle sue ambizioni nel novembre scorso, e non lo farà una seconda volta. Soprattutto se sull’altare dell’intesa col centro dovrà sacrificare gli alleati più riottosi, in primo luogo Di Pietro.
Nonostante i segnali di attenzione (come quello lanciato da D’Alema) è ben difficile che Monti possa essere arruolato in questo schema. Piuttosto potrebbe essere l’uomo giusto attorno al quale ricostruire il centrodestra, strappando Casini all’abbraccio di Bersani. Un progetto che sarebbe gradito a molti, anche Oltretevere, ma che ha trovato finora un ostacolo insormontabile: Silvio Berlusconi, la sua pervicace volontà di tenere ancora in mano i destini del Pdl e addirittura di ricandidarsi (magari circondato da una corte di improbabili liste civiche).
Il quadro comunque è aperto e in movimento: nessuna coalizione può pensare di avere la vittoria in tasca. E si capisce perché sia così difficile mettersi d’accordo su una nuova legge elettorale.