Il Partito democratico perde per strada la democrazia interna
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Il Partito democratico perde per strada la democrazia interna

Quando un partito democratico perde di vista la democrazia interna e rende vuoto ogni tentativo di programma, appunto, democratico.

Il Partito democratico perde per strada la democrazia interna
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16 Luglio 2012 - 09.11


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di Sara De Santis

«Bisogna dare una risposta democratica, civica e riformatrice» dice Bersani. Ecco, appunto. Nei quaranta minuti di relazione del segretario del Partito democratico durante l’assemblea nazionale del 14 luglio, ci sono tutte le premesse per il grande cambiamento in Europa, in Italia e nel Pd. A parole, però. Nei fatti, nella stessa assemblea in cui questo discorso si delinea, ciò non avviene.

Dopo cinque ore di noia totale – come in ogni assemblea che si rispetti – nell’ultima mezz’ora si sveglia un tempestoso rigurgito. Pochi (non così pochi) interni al Pd si ribellano ai metodi “soviet” perpetrati dalla segreteria di partito. Questi rivendicano la risposta democratica di cui sopra, prima di tutto nella gestione tecnica della stessa assemblea, dove si è vista rifiutare la votazione di diversi odg (ordini del giorno). Se da un lato può sembrare irrilevante una controversia di questo genere di fronte a problemi ben più gravi che affliggono il Paese, dall’altro non si possono sottovalutare sia i metodi interni che utilizza la segreteria del maggiore partito dell’opposizione sia i contenuti degli odg proposti.

Il segretario Bersani ha esposto la sua relazione, dopo numerosi interventi, ha replicato e si è passati alla votazione. Un contrario, cinque astenuti: votazione favorevole. E’ seguita la breve presentazione da parte di Michele Nicoletti del Documento dei diritti, testo redatto dalla Bindi e da altri 35 membri del Pd, che da un anno e mezzo si sono riuniti per elaborare un documento che potesse esprimere la posizione del partito sui diritti individuali e sociali.

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La Bindi precisa subito che sette membri della commissione hanno presentato un documento integrativo, un «contributo» lo chiama, che sarà felice di presentare e discutere nella riunione di direzione alla riapertura dei lavori del Pd subito dopo le vacanze estive. Parlando degli enormi passi avanti fatti, si sollevano dalla platea forti contestazioni. Enrico Fusco prende la parola e dichiara che «quel documento è vergognoso perché non dice nulla sulla 194, poco sul fine-vita e parla solo di Dico per gli omosessuali», senza tenere conto dei veri diritti delle coppie gay. Conclude «possibile che in tema di diritti civili, Fini sia più avanti del Pd?».

Il clima è surriscaldato, si passa alla voto. Contrari 38, votazione favorevole. La Bindi ribadisce che il testo pervenuto a sostegno del Documento dei diritti non è soggetto a votazione. Le contestazioni continuano. Il testo in questione “Per una nuova cultura dei diritti” è stato presentato da Paola Concia, Ignazio Marino, Barbara Pollastrini, Claudia Mancina, Gianni Cuperlo, Vittorio Angiolini, Paolo Corsini e firmato da altri quaranta presenti all’assemblea. I nomi sono importanti perché rappresentano diversi schieramenti interni, dai mariniani ai dalemiani.

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Il documento a supporto è particolarmente interessante perché chiede al Pd una presa di posizione netta – che nel Documento dei diritti non c’è – su questioni come i diritti dei diversamente abili, delle donne, degli immigrati, dei carcerati, delle minoranze etniche, tocca esplicitamente temi come il testamento biologico, la legge 194, l’autonomia e la libertà della ricerca, il reato di tortura, la legge contro l’omofobia e il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali al pari di quelle eterosessuali. Questa votazione però è preclusa poiché è stato già votato il documento precedente.

Stesso vale per gli odg successivi, uno specifico sui matrimoni tra omosessuali, presentato da Ivan Scalfarotto, Cristiana Alicata e Pippo Civati più altri firmatari, e altri due che riguardano le primarie, sempre a firma di Civati e anche di Vassallo e Gozi. A questo punto interviene Bersani, che dopo aver assistito inerme alle accesissime contestazioni, con tono quasi paterno, spiega che il tema delle primarie è stato già espresso nella sua relazione, già votata a favore.

Invece no, perché se in alcuni punti Bersani ha chiarito (per fortuna) che le primarie ci saranno e saranno aperte a tutti, negli odg presentati era fatta espressa richiesta di fissare una data al più presto, stabilire delle regole chiare sulle primarie e limitare a non più di tre i mandati. In pratica, le proposte arrivate dagli attivisti del Pd, quelli che il partito lo vivono, proposte precise, dettagliate, autonome – come la richiesta del matrimonio omosessuale che è cosa diversa da un documento generico sui diritti civili e sociali – sono state prepotentemente aggirate dalle proposte annacquate della segreteria.

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Molti hanno letto in queste tattiche la volontà di non deludere Casini e accontentare in qualche modo tutti. Ciò che appare evidente è la mancanza di visione in un partito che si definisce democratico, mentre non garantisce assolutamente responsabilità e fiducia su questo aspetto. Fa sorridere che proprio Responsabilità e fiducia sia il sottotitolo del manifesto della suddetta assemblea.

Fa piacere, in ogni caso, vedere come siano vivi gli animi di molti interni al Pd. Hanno ancora possibilità di parola, non come nel Pdl o nel Movimento 5 stelle, dove chi la pensa in maniera differente dal leader viene epurato. In un Pd sempre più democristiano, ma saldamente ancorato alle rigidità del vecchio partito comunista, a porte aperte gli iscritti al partito si sbattono, propongono, si arrabbiano e tentano pure di andare oltre le “preclusioni”. Questa è una caratteristica tipica del Pd: restare nel partito per cambiarlo. Allora la domanda sorge spontanea: è amore per il partito (quindi i partiti hanno ancora motivo di esistere) o è accanimento terapeutico?

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