Adesso vado. Mi metto il cappotto e vado. Non potrò neanche scrivere “Antonio La Trippa”, si chiamava così se non sbaglio il Totò indimenticabile candidato. Perché l’Antonio La Trippa che devo far eleggere non posso neanche sceglierlo io, l’hanno scelto loro, devono sceglierlo loro, “lorsignori”.
E’ divertente l’idea di contribuire a mandare in Parlamento un tipo che neanche ha dovuto fare lo sforzo di cercarmi, tanto io devo votarlo per forza. E lui passerà pensando “quello scemo c’è cascato di nuovo, povero deficiente”.
Quest’aria da rito imbalsamato è scosso da uno tzunami in arrivo, l’orda genovese appare inarrestabile. Siamo matti? O sono matti lorsignori, che non hanno modificato il Porcellum neanche in questa circostanza? Che non si sono ridotti il bottino di guerra neanche di un modesto 1 %?
Potrei andare a votare proprio per impedire che l’orda genovese concluda l’opera di lorsignori e trasformi questa barzelletta di Paese in un Pagliaccio desnudo. Certo, ma non mi basta. Potrei andare a votare perché non voglio indietro i soldi dell’Imu, né a mezzo dei farlocchi proventi svizzeri, né a mezzo dei sudati risparmi del nostro munifico Creso. Certo, ma non mi basta.
Ma allora perché vado a votare?
Di certo non vado a votare per smacchiare leopardi, patetico slogan di un uomo costretto a inseguire il suo patetico ma efficace nella pateticità dirimpettaio: vado a votare perché mi ricordo che in questo Paese anni fa, mica tanti, era già vivo mio padre, qualcuno avrebbe voluto esercitare questo diritto. E lo mandarono al creatore. Penso ai Fratelli Rosselli, a Matteotti, le bussole della mia modesta vita.
Così smetto di scrivere, mi metto il cappotto e vado. Senza esitazioni, ma con un po’ di paura. Continueremo cos?