Lo storico alla grillina: non c'è fascismo buono
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Lo storico alla grillina: non c'è fascismo buono

Antonio Moscato: «Di stronzate ne diranno ancora ma è più importante capire che radicamento hanno» [Checchino Antonini]

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5 Marzo 2013 - 17.52


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di Checchino Antonini

«No, non esiste un fascismo buono e uno cattivo», spiega a Popoff.Globalist, Antonio Moscato, storico del movimento operaio, rispondendo indirettamente a Roberta Lombardi, appena nominata capogruppo alla Camera del M5s. Sul suo blog, un post recente ha fatto drizzare i capelli a mezzo web: «Da quello che conosco di Casapound, del fascismo hanno conservato solo la parte folcloristica (se vogliamo dire così), razzista e sprangaiola. Che non comprende l’ideologia del fascismo, che prima che degenerasse aveva una dimensione nazionale di comunità attinta a piene mani dal socialismo, un altissimo senso dello stato e la tutela della famiglia».

La Lombardi è rimasta «allibita» dallo scalpore sollevato e ha schiaffato in rete una rettifica: «In Italia il fascismo così come il comunismo è morto e sepolto da almeno trent’anni. Mi riferivo, facendo una analisi, al primo programma del 1919, basato su voto alle donne, elezioni e altre riforme sociali che sembravano prettamente socialiste rivoluzionarie e non certamente il preludio di una futura dittatura. Tutte proposte che poi Mussolini smentì già dall’anno seguente, in quello che fu un continuo delirio di contraddizioni. La caratteristica del fascismo fu infatti quella di cambiare sempre le carte in tavola, con l’unica costante che al centro del potere rimanevano sempre Mussolini ed il suo partito unico. Potere che poi divenne dittatura in un crescendo di violenza. Fino ad arrivare al razzismo e la guerra. Questo il mio giudizio storico e politico, negativo su quell’esperienza. Ora possiamo pensare all’Italia del 2013».

«La cosa grave è illudersi che Casapound sia solo un fenomeno folcloristico – insiste Moscato – il programma del ’19 è diventato un mito. In realtà comprendeva molte cose che vanno comprese inquadrandole nel clima del dopoguerra, fu costruito per raccogliere il malcontento diffuso dopo la vittoria “mutilata”. E’ un programma che, in qualche modo, sfonda a sinistra ma le origini del fascismo vanno ricercate nell’interventismo di Mussolini che lasciò il partito socialista per fare propaganda alla guerra, pagato per questo dallo zar e dalla Francia. Il nome dei fasci viene fuori nel ’19 e anche quello era preso dal patrimonio ideale del movimento operaio: dai Fasci Siciliani. Ma subito dopo, nascono le squadre di picchiatori contro le occupazioni delle fabbriche e delle terre, finanziate, stavolta, dai capitalisti del nord e dagli agrari padani e del Mezzogiorno che incoraggiano l’assalto al movimento operaio. Quel programma, al fascismo, è servito ad accumulare forze».

Tuttavia, Moscato avverte sul rischio di enfatizzare questa o quella dichiarazione a scapito di una reale comprensione dello “tsunami”. «Forse la maggioranza degli eletti non sa nemmeno cosa sia il fascismo ma trovo eccessivo lo scandalo. E’ un gruppo parlamentare eclettico. Tra loro qualcuno ha salutato con la mano tesa, qualcuno ha chiuso il pugno. D’altronde bastavano così pochi voti per riuscire a essere candidati. Però, anziché andare con i lapis rossi e blu per sottolineare le sciocchezze (ne diranno probabilmente tante, e in passato è capitato allo stesso Grillo), il problema vero sarà di capire che radicamento hanno, quali condizionamenti avranno dall’ambiente in cui vivono e lavorano. Bisognerebbe agire in ciascun collegio, rivendicare nelle assemblee pubbliche che rendano conto sui contenuti concreti».

Secondo Moscato, Grillo «ha scoperto una tecnica comunicativa, l’ha affinata per anni negli spettacoli. E’ stato fortunato: da quando Craxi ne volle la testa in tv, ne uscì con un’aura eroica per aver sfidato la censura, ma in effetti poté continuare a far teatro senza subire condizionamenti. Così ha sperimentato per anni, scoprendo come si cresce, ha capito che serviva aggredire, provocare, essendo e apparendo diverso da tutti gli altri. Ricorda i mascheroni del teatro popolare, le maschere atellane, quelle da cui nasce Pulcinella, non a caso è grande amico di Dario Fo, che anche lui pesca nei meccanismi del teatro popolare contadino. Però – ironizza lo storico – il salto definitivo lo deve a Fassino che rifiutandogli la partecipazione alle primarie del PD lo ha sfidato a fondare un partito».

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