di Fabio Luppino
La difficoltà dell’impresa a cui si accinge Bersani è sottolineata dalla lunghezza del discorso con il quale Napolitano gli ha detto, verifica, perché non può essere definito un incarico vero quello avuto dal segretario Pd. La scelta del Capo dello Stato è inedita: per il discorso e per la sua articolazione.
Bersani ha chiesto fiducia per avere la fiducia. La Camera è sua. Per avere i numeri in Senato rischia di fare qualche passo indietro rispetto al percorso scelto sin qui. Sarebbe letale per lui, per il Pd, ma anche per il Paese. Eppure in questi tre giorni scarsi (tornerà al Colle lunedì) dovrà cercare i voti dei montiani, della Lega e anche forse di quel gruppo composito di dieci che si è appena formato.
Il presidente del consiglio incaricato si porta 124 voti: i montiani ne hanno 19 più Monti, la Lega ha 17 senatori. Sarebbero 161, maggioranza risicatissima. Ed è molto difficile che gli argomenti graditi a montiani e leghisti possano corrispondere fino in fondo al sostantivo cambiamento usato dal leader Pd dopo le consultazioni. Anzi, è possibile che quel che serve per convincere i montiani non sia assolutamente suffficiente per persuadere i leghisti. Il collante apparente: la volontà per motivi diversi di entrambi i gruppi di non voler tornare alle urne. Per non parlare dell’eterogeneità del gruppo dei dieci, sempre che valga la pena andarli a cercare.
Il discorso di Napolitano non prevede accordicchi. Non può Bersani tornare al Quirinale solo con la prima fiducia in tasca. Ma soprattutto deve continuare a mostrare l’inedito profilo di queste settimane. Un governo con 160 voti può solo tirare a campare. Bersani per rimanere in sella dopo lunedì ha due strade: o andare fino in fondo a vedere la disponibilità Cinque Stelle su alcuni nodi chiave, o fare un governo con i voti di tutti. La prima cosa non la vogliono i grillini, la seconda, fino a questo momento non l’ha cercata lui: e se lo avesse fatto non ci sarebbero Boldrini-Grasso presidenti delle Camere.
L’unica soluzione ragionevole, ma nel solco della novità di queste ore, sarebbe da parte di Bersani andare lunedì al Quirinale indicando un nome capace di non chiudere la speranza di una stagione che sarebbe salutare per il Paese, per la credibilità dei grillini, per il Pd. Un passo indietro. E accettare di aver perso le elezioni.
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