di Gianmario Demuro
Nei giorni della passione pasquale il presidente della Repubblica nomina due commissioni di lavoro cui affida il compito di «formulare precise proposte programmatiche» perché possano diventare «in varie forme oggetto di condivisione da parte delle forze politiche». Una scelta con finalità di condivisione per nulla condivisa. Vi è chi parla apertamente di «commissariamento delle Camere», di «golpe», di «ritorno della monarchia», di «oligarchia alla corte di re Giorgio», di «anomalia», di «presidenzialismo di fatto», di «scelta incostituzionale», di «badanti della democrazia». Napolitano non ha rotto nessuna regola costituzionale, tutti gli organi al vertice del sistema costituzionale possono farsi coadiuvare da gruppi di lavoro, ma la sua scelta è discutibile per altre ragioni.
La prima perplessità attiene agli effetti immediati. Dal comunicato del Quirinale si apprende che il compito dei dieci saggi è quello di predisporre materiale programmatico utile per una futura attività di Governo. Ai “saggi” è affidato il compito di suggerire un programma di governo. Chi potrà essere il destinatario del suggerimento? Un programma senza genitori, ossia senza partiti che lo sostengano, è un programma destinato a rimanere negli scaffali delle nostre biblioteche. Unico effetto collaterale della scelta di Napolitano è mantenere in piedi un Governo dimissionario che, ancorché non sfiduciato dal Parlamento, rimane in carica con un Parlamento che non gli ha votato alcuna fiducia. Un Governo certamente non condiviso.
La seconda perplessità attiene agli effetti a lungo termine sul nostro sistema costituzionale.
Normalmente le fasi di formazione del Governo sono disciplinate, in assenza di regole scritte, da accordi convenzionali. Conventions of the Constitution le chiamano gli inglesi che, però, non hanno una Costituzione scritta e le applicano in virtù del fatto che si tratta di regole da tutti condivise. Il percorso descritto dal presidente della Repubblica non ha, invece, nessun precedente anzi, mi pare, risponda a una logica del tutto diversa da quella della nostra forma di governo parlamentare, risponde alla logica di una forma di governo presidenziale. Niente di male si dirà, salvo il fatto che il nostro Presidente non è eletto direttamente dal corpo elettorale e che nessuno ha ancora cambiato la Costituzione. La compartecipazione all’indirizzo politico di governo, soprattutto negli ultimi anni ha rafforzato una diarchia di fatto. Anche se può sembrare un paradosso, questa diarchia ha, nel lungo periodo, un effetto del tutto deresponsabilizzante per le forze politiche perché spostano sul Presidente la responsabilità politica delle scelte. Responsabilità che per regola costituzionale non gli spetterebbe.
Anche l’ultimo appello alla solidarietà nazionale per la formazione di un governo di “larghe intese” è un modo di attrarre a se la responsabilità delle scelte, tuttavia un appello di tal fatta cade in un teatro che non ha contribuito a fare questa proposta e potrebbe non accettarla, scaricando su di lui la responsabilità. In questo modo il settennato del Presidente terminerà senza soluzioni per la crisi istituzionale, in assenza di regole e con la percezione che la responsabilità politica sia sua. Soltanto sua.
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