di Fabio Luppino
Quanti oggi hanno pensato guardando a cosa stava accadendo nel Pd, qui ci vuole uno psichiatra. Andare contro un muro, contro se stessi, così, deliberatamemte, a fari spenti nella notte per vedere se è così difficile morire, contro i tuoi stessi elettori, contro idee e parole su cui ci si è giocati la reputazione, insomma, contro ogni logica, non poteva essere vero.
Bersani autodistruttivo o che… Un segretario debole, indeciso, incerto, succube. Forse siamo più vicini alla realtà. Chi lo ha portato a fare questa pessima figura agli occhi di tutto il suo partito tra stanotte e domani mattina dovrà tirarlo fuori dai guai e in fretta. Il presupposto fondamentale è presto detto: noi siamo un partito e se il frutto del populismo è Rodotà noi siamo contro Rodotà. Una via di mezzo no, eh… Tra Rodotà e Amato, Marini e D’Alema, la trimurti dell’inciucio, cercando comunque di tenere fede al principio un grande partito non poteva trovare un’altra soluzione. Allora, la realtà come si usa dire è più complessa. Il segretario Pd è stato stritolato dall’ala più moderata e arcigna del suo partito, quella convinta dalla necessità inderogabile delle larghe intese, che ha scambiato l’urgenza (ma poi perché) della larga condivisione sul Quirinale per aprire la strada al governissimo, vocabolo coniato da D’Alema anche molto affezionato al concetto. Fioroni, Letta, Franceschini tutti persuasi dall’idea, dal male necessario. Non salvando nemmeno le apparenze: la contemporaneità dell’annuncio sulla sorpresona ieri sera è stata esplosiva e negativa quanto l’aver visto oggi Bersani fare il compagnone niente di meno che con Angelino Alfano.
Che dalle urne siano arrivati segnali forti e inequivocabili questo per la nomenklatura pd conta poco o nulla. Noi siamo, non decidiamo, con un tasso di autosufficienza che alla lunga si rivelerà letale anche per i giovani autenticamente appassionati dalla politica eletti in Parlamento nelle file del pd. Quindi, Rodotà presidente della Repubblica è morto come questione di principio. Evidentemente qualcuno, in passato, non lo ha digerito come presidente del Pds, lo ha vissuto come corpo estraneo, così come il suo essere di sinistra, ma libero, radicale, giurista, referendario, amante delle cause civili e popolari.
Verrà senza dubbio trovato un compromesso, una soluzione. Si farà uno scatto in avanti. Verrà proposto un nome nuovo. Reiterare lo schema della condivisione con Berlusconi diverrebbe letale per la stessa sopravvivenza del Pd. Qualcuno ancora lo pensa, in nome di un malinteso senso della politica. Uno di questi nomi è senz’altro quello di Fernanda Contri. Sempre che Berlusconi domani mattina non giochi d’anticipo e sia lui, visto che il patto è svanito, a fare un nome: magari Emma Bonino. Dire no sarebbe disdicevole, candidare Prodi, ora, fuori tempo massimo, sarebbe cercare un’alleanza di principio con gli intoccabili Cinque Stelle. Proporre Salvatore Settis significherebbe improvvisamente avere un pd vero, come molti vorrebbero. Ma questo succede solo nelle favole.
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