Una grande sbornia mediatica. Alla fine tutto si è risolto in un grande aumento dell’audience delle televisioni, in un gran vociare in piazza, sulla rete e sui giornali. Ma tutte queste grida e alti lai degni delle prefiche hanno lasciato macerie senza comunque cambiare nulla.
Si è assistito ad uno spettacolo a dir poco indegno. Tutte le elezioni dei presidenti della Repubblica, perlomeno negli ultimi anni, si sono tenute con accordi tra i partiti.
Accordi, ecco la parola chiave. Prima erano accordi, dall’avvento di Berlusconi sono divenuti inciuci. Come ha ricordato lo stesso Rodotà, che avrei comunque preferito vedere al Quirinale, tutto ciò che viene deciso democraticamente in parlamento è valido e non è assolutamente un golpe. Le parole hanno un significato e prima di usarle ci vorrebbe un po’ di avvedutezza. Si può essere d’accordo o meno ma in Italia non c’è stato un golpe, ma un accordo insoddisfacente che ha lasciato tutto come prima.
A parte gli errori, le corbellerie, di marca Pd su cui si soffermano tutte le analisi, ribadisco che l’altro grande sconfitto è e rimane Grillo. Una sconfitta peraltro mal digerita al punto di invocare il fantomatico golpe. Cosa ha prodotto ieri la protesta grillesca? Di vedere in piazza insieme alle bandiere del M5s quelle di Rifondazione, che almeno così ha avuto un po’ di visibilità, e di movimenti di estrema destra. Non è stato un bel vedere. Anzi è stato qualcosa di triste e di storicamente inaccettabile.
In pratica Grillo ha presentato il suo candidato con l’intento di dividere ciò che già era ampiamente diviso. E quando ha visto che Rodotà non veniva votato dal Pd ha armato la protesta, a cui si sono uniti per altre ragioni condivisibili i militanti del Pd. Protesto perché non voti il mio candidato, scendo in piazza perché non sono riuscito nel mio intento in quella che sarebbe dovuta essere una votazione libera. Scendo in piazza e tento di condizionare il voto gridando più forte. E in questa rincorsa a chi grida più forte non c’è stato partito che abbia tenuto la barra ferma. Un protestare di tutti contro tutti che ha raggiunto il massimo nei militanti del Pd che protestavano contro i propri candidati. Indecoroso spettacolo.
Alla fine ci ritroviamo con Napolitano ancora presidente della Repubblica, senza governo e con la minaccia, la certezza, di un governo simil tecnico di Pd e Pdl. Era questo che voleva Grillo? Si sente soddisfatto? Con il suo atteggiamento non ha ottenuto la realizzazione di nemmeno uno dei suoi punti programmatici. No, uno lo ha raggiunto, ha fatto implodere il Pd. Ma lui è contento lo stesso. Ha fatto un po’ di casino. C’è chi si accontenta di poco fregandosene degli italiani.
ma come lasciare fuori da questa piccola e personale analisi il nuovo che avanza nel Pd? Fabrizio Barca in questi giorni è stato zitto. Ieri, a giochi fatti, ha dichiarato che avrebbe preferito Rodotà e la Bonino. Cominciamo male. Innanzitutto sarebbe dovuto intervenire prima perché se rendi noto un documento di 55 pagine con cui ti vuoi accreditare come candidato alla guida del Pd per farlo tornare ad essere un partito di sinistra, non puoi stare zitto sulla scelta del presidente della Repubblica. Poi, tirare fuori il nome della Bonino, inviso a gran parte di quello che dovrebbe essere il bacino in cui andare a pescare i nuovi-vecchi militanti è un errore che inficia quanto di buono e condivisibile c’è nelle ormai famose 55 pagine. Non cominciamo a tenere i piedi in due scarpe. Idee chiare e decise, di Sor Tentenna la politica italiana è piena.
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