di Fabio Luppino
Letta come Bearzot porta la sua squadra in ritiro. Un pomeriggio e una ricca mattinata nell’abbazia di Spineto, risalente al secolo XI, in provincia di Siena. Il fine è parlare la stessa lingua, sentirsi governo per davvero, rimanendo di destra e di sinistra. Ognuno pagherà per sé, segno di morigeratezza. Qui esce il Letta cattolico: il ritiro spirituale fa parte della formazione, così i deserti, la meditazione, i vespri e la preghiera. Dio per tutti, lasciamo perdere. Ci sarà gente che ha dovuto sorridere ai raccontini salaci del capo Pdl, quello del Bunga bunga, che ha applaudito alle barzellette cariche di doppi sensi. Lui, magari li portava al Billionaire.
Ma qui si sta nell’asse post Ulivo, post Pd. Il cerimoniere viene da lì. E la sfida a questo punto è duplice: quella di sperimentare il collante e di trovare l’antidoto alla sfiga legata a questo tipo di eventi. Qualcuno già sente puzza di bruciato. Non tutti i ministri hanno accolto a
braccia aperte la convocazione via twitter di Enrico Letta nell’abbazia toscana “per fare spogliatoio”. Un ministro, che ha chiesto espressamente l’anonimato, si è concesso una battuta fulminante: “Non è che finiamo come ‘Todo modo’…”
‘Todo modo’ è un film del 1975 diretto da Elio Petri. La
vicenda ha luogo in un albergo-eremo-prigione, nel quale capi
politici, grandi industriali, banchieri e dirigenti d’azienda,
tutti appartenenti alle varie correnti democristiane, si
ritrovano per gli annuali ritiri spirituali (ispirati agli
esercizi spirituali) di tre giorni. Questa volta la riunione
avviene in concomitanza con un’epidemia che miete numerose
vittime in Italia. Tra litigi continui e violenti, accuse
reciproche e poca pratica spirituale, si sviluppa una serie di
apparentemente immotivati delitti, che eliminano, uno alla
volta, i personaggi di primo piano del partito Tra i tantissimi personaggi, vi è il Presidente, interpretato da Gian Maria Volonté, nei panni del capo politico conciliante, bonario, che mira ad accontentare tutti, ma segretamente animato da un’infinita sete di potere e di dominio. Il personaggio del Presidente è apertamente calcato sulla figura di Aldo Moro, pur senza mai nominarlo direttamente; ma la fisicità, il modo di comportarsi ed il
ruolo rivestito non lasciano spazio a dubbi in merito.
I precedenti portano cattivi presagi. Nel 1997 ci fu la famosa scampagnata al castello di Gargonza del primo governo Prodi. Roba annunciata con squilli di trombe, prosopopea assoluta per il novero dei partecipanti. Intellettuali, politici e massmediologi dell’Ulivo si ritrovarono per “un confronto vero e una riflessione approfondita”. Regia di Omar Calabrese . I politici a squadernare temi, gli intellettuali a dire la loro. C’erano Luigi Nono, Umberto Eco, Stefano Benni. Dibatti come una volta a Frattocchie. La domenica mattina “Intellettuali e politica”. Enzo Bianco, Fabio Mussi, Leoluca Orlando, Cesare Salvi, Claudia Mancina, Rosi Bindi, Carlo Rognoni, Alberto Monticone, Sergio Mattarella, Mauro Paissan, interventi di Prodi, Veltroni, D’Alema, Marini, Manconi, Maccanico. Dini e Bertinotti, che un anno dopo tradì. Ma c’erano anche Luciano Berio, Maurizio Costanzo, Pietro Scoppola, Augusto Barbera, Paolo Flores d’Arcais e Marialina Marcucci. Quanta roba, altro che colla doveva essere bostik. E invece nel 1998 il governo Prodi drammaticamente evaporò. Quell’evento fu guardato con distacco da D’Alema, inventore dei ritiri politici. Lui però riunì la sinistra a Pontignano, nel dicembre del 1995, in convento, nella Certosa del quattordicesimo secolo. Poi il padre conventuale nel ’98 si prese il governo, con Marini e Cossiga. Altro che i 101 congiurati, comunque sempre Prodi c’era di mezzo.
Negli anni fastosi di Ulivo e ulivisti piaceva il ritiro. Quel non so che di mistero e unzione cristiana anelata da tradizione pci-catto-comunista. Anche Rutelli sindaco portò la sua giunta in ritiro, nella Casa del Divin Maestro, ai Castelli romani. Di solito c’è sempre aria buona e buona cucina. Ma l’esito post, non cercato, non voluto è da Monte degli Ulivi. Anche quel che è stato di un partito, il Pd, si battezzò più prosaicamente in un raduno in collina, a Orvieto. Roba pop folk. Così il secondo governo Prodi si trasportò a San Martino in Campo, appena nato, nel giugno 2006. Poi è andata come è andata. Cadde Prodi, un anno e mezzo dopo. Cadde Veltroni. Fosse Prodi… Ma Letta è di rito andreattiano.
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