di Franco Balbo
C’era una volta un campionato di calcio in cui due squadre forti a livello regionale (Democratici di Sinistra e Margherita) pensarono di vincere il campionato nazionale unendosi in un’unica squadra. L’idea era quella di creare una formazione diversa dal passato, più forte, più rampante, con una campagna acquisti che puntava ad allargare la rosa dei calciatori, anche per attirare più tifosi possibili. Il nome della nuova squadra era “Partito Democratico”, ma i tifosi la chiamavano Pd.
Purtroppo il primo problema venne fuori su quale tattica adottare tutti insieme. Ognuno dei vecchi calciatori credeva che il suo gioco fosse il migliore, perciò non intendeva confrontarle con altri, con la terribile conseguenza che metà dei giocatori giocava a zona e l’altra a uomo. Chi non proveniva dalle due squadre precedenti riscaldava la panchina o era costretto a starsene in tribuna; i più sfigati venivano messi a presenziare ai gazebo, vendevano gadgets del Pd.
La squadra era nata male e cresceva peggio, perdendo consensi. Le ex squadre Ds e Margherita decisero di non condividere quello che gli apparteneva, i premi e i palloni. “Con il mio pallone il Partito Democratico non ci gioca! O se ne usa un terzo o non giochiamo”. Dunque ognuno aveva le proprie magliette e il campo in cui allenarsi, ognuno si teneva il proprio gioco ma soprattutto si teneva care le proprie palle.
Quando erano costretti a giocare insieme i giocatori usavano la maglietta ufficiale del Pd, ma per fedeltà alla vecchia squadra sotto indossavano la vecchia casacca. Per cui era doppio sudore, doppia fatica. Per non parlare dei dispetti che si facevano tra di loro, gli sgambetti in campo, i falli di mano, le entrate a gamba tesa. Quando si decideva chi mettere in campo per una partita importante scoppiavano i litigi. Se il centravanti era un ex Margherita, il portiere doveva essere per forza un ex Ds.
“Ma quello è una pippa! Non sa parare nemmeno i tiri da 200 metri!”, protestavano gli ex Margherita. “Non ci interessa! È dei Ds”, replicavano gli ex Ds. Ogni tanto facevano giocare anche una nuova leva, ma non le passavano mai la palla, si direbbe che lo facessero per sport, appunto. La tenevano a fare la rimessa laterale. Magari era un bravo calciatore, ma aveva la colpa di non provenire dalle due squadre di un tempo. A formare la squadra erano sempre gli stessi, mica si potevano pensionare le vecchie glorie! D’altronde è arcinoto che squadra che perde non si cambia. Era come scendere in campo con Pelè di 73 anni e Maradona con la pancia, contro ragazzi motivati e in piena forma. “Pelè ha classe”. “Ma ha pure 70 anni!”. “E che c’entra? Non vedi che il miglior arbitro ne ha solo 88!?”.
Insomma, la squadra non aveva una tattica comune, teneva i nuovi arrivi da parte perché dovevano imparare, faceva giocare vecchi calciatori, metà di una ex squadra e metà dell’altra per evitare baruffe. Con simili presupposti si stupiva di non essere ancora riuscita a vincere un campionato. Anche i suoi tifosi si stupivano. E soprattutto si stupivano di stupirsi.
C’erano tempi in cui in squadra si vedevano giocatori indimenticabili, personaggi del calibro di Berlinguer o Moro, che per gli Italiani avevano fatto la storia calcistica. Gli eredi di questi calciatori invece erano ricordati per prestazioni a dir poco imbarazzanti, come quando si rifiutarono di tirare il rigore sul conflitto di interessi o quando non si presentarono alla partita che decideva lo scudo “scudetto” fiscale. Tuttavia anche per la più moderna squadra del Pd arrivò il giorno della gloria, e come per tutte le squadre dalle tattiche inoppugnabili, la fortuna fece di suo. Parecchio.
Accadde infatti che l’avversario più temibile, coinvolto in scandali e sconfitte nazionali e internazionali, rischiò l’esclusione dal campionato. Persino i suoi stessi tifosi lo davano per spacciato.
E senza di lui il PD era pronto a diventare la prima squadra italiana.
Ma a quel punto le vecchie glorie non tanto gloriose decisero che per il bene del campionato sarebbe stato meglio far scendere in campo i commissari tecnici al loro posto. Misero a giocare preparatori atletici e studiosi dello sport alla guida di un tale mister Monti, teorico laureato in Economia Calcistica.
Grazie al loro magnifico gioco, il principale avversario non andò incontro al severo giudizio della federazione e si ritrovò ancora in campo, dove d’altronde era disceso già dal lontano 1994, perciò lì si sentiva come a casa.
Il PD si ritrovò ad affrontare il calcio mercato di fronte ai perplessi tifosi italiani.
E c’era un giovane molto quotato nelle loro fila che piaceva anche alla tifoseria avversaria. Però per il 60% dei tifosi del PD era troppo simile ai giocatori della squadra avversaria. “Oh! Questo ragazzino segna come il capocannoniere avversario! E che, siamo pazzi? Mica vogliamo vincere a tutti i costi. Vogliamo vincere come sappiamo fare noi. I gol il Pd li deve fare solo con i piedi, segnare di testa è di destra”. Pertanto usarono solo i piedi. Diciamo che, se al posto di una squadra di calcio il PD fosse stato, chessò, un partito politico, avrebbe fatto una campagna elettorale con i piedi. E il Pd vinse proprio così. “Siamo arrivati primi, ma non abbiamo vinto”. Unico caso nella storia del calcio. Fu una vittoria strana, all’insegna del bizzarro slogan “Smacchiamo il giaguaro”: come se per i tifosi italiani, che non arrivavano a fine mese e avevano lo sport come unica speranza, parlare delle chiazze di un animale avesse un senso. Del resto, chi non vorrebbe smacchiare un giaguaro almeno una volta nella vita?
E così, avendo scartato l’idea di un giovane che segnava di testa come i giocatori avversari, la squadra del PD si ritrovò i propri avversari in squadra. Come dire: se non puoi batterli unisciti a loro.
Avrebbero potuto uscire dalla impasse cambiando giocatori, cambiando gioco oppure entrambi. Invece no. Fu proprio in quel momento critico che il Pd fece la mossa decisiva. “Se non riusciamo a vincere con le nostre vecchie glorie e non abbiamo una buona tattica, facciamo in modo che le altre squadre siano fuori legge e non possano più partecipare al campionato”. Il capitano dei senatori del Pd, un certo Zanda, che era stato chiamato a mediare con la squadra dei 5 Stelle, propose un regolamento che vietava ai 5 Stelle di iscriversi al campionato. Zanda specificò di aver avuto questa idea prima che i 5 stelle entrassero in campionato. Subito dopo era stato scelto come mediatore con la squadra che un anno prima aveva deciso di gambizzare. Come se per mettere pace tra i bambini di un asilo si scegliesse Erode. Una cosa del genere.
Ma la fantastica storia delle vecchie glorie non tanto gloriose del Pd non finisce qui!
… to be continued, per altre affascinanti ma soprattutto inspiegabili avventure del Partito Democratico.
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