Cambiare il Pd, non la Costituzione
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Cambiare il Pd, non la Costituzione

L'ossessione di cambiare le regole con la promessa di riformare la politica dura ormai da venti anni. La vera riforma istituzionale è ricostruire il Pd. [Walter Tocci]

Cambiare il Pd, non la Costituzione
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5 Giugno 2013 - 16.06


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di Walter Tocci

Fare pace con la realtà è il primo compito del Pd. Circa la metà del popolo italiano rifiuta o disprezza la classe politica. È un sommovimento dell’opinione pubblica senza precedenti nella storia repubblicana. Si sciolgono come neve al sole le appartenenze ideologiche che avevano resistito al passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Milioni d cittadini cercano nuovi riferimenti politici ma non li trovano.

Come se non fosse successo niente dal Pd arriva un segnale piatto. Le parole, le incertezze e gli errori sono quelli di sempre. Nella relazione di Epifani non trovo risposte ad un sommovimento di tale portata storica.

Non annunciamo una buona notizia dai tempi delle primarie. Continuiamo a ripetere stancamente diagnosi e terapie di venti anni fa. Ci siamo uniti al Pdl per dire che la crisi politica non dipende dai partiti ma dalle istituzioni. Abbiamo statalizzato la responsabilità della politica. La figuraccia per il Quirinale è stata attribuita alle regole per l’elezione, con le quali però in passato sono stati scelti presidenti come Einaudi e Pertini.

L’ossessione di cambiare le regole con la promessa di riformare la politica dura ormai da venti anni. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: sono peggiorati sia lo Stato sia i partiti; mai erano giunti tanto in basso nella stima dei cittadini.
Ogni volta che abbiamo modificato la Costituzione ci abbiamo dovuto ripensare: dal Titolo V, allo ius sanguinis del voto all’estero, al pareggio di bilancio che a un anno di distanza già vorremmo derogare.

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Guai peggiori sono stati evitati per merito degli elettori che nel 2006 bocciarono la legge costituzionale scritta dagli stessi autori del Porcellum. L’unico baluardo è venuto dai presidenti di garanzia come Scalfaro, Ciampi e Napolitano. Mi sconcerta la leggerezza con la quale si ritiene possibile demolire questo ultimo bastione e aprire la strada del Quirinale ai più forti populismi che ci siano in Europa. Due comici nel nostro paese hanno raggiunto quasi il 50% dei voti, non scherziamo col fuoco.

Il presidenzialismo non è un emendamento, è un’altra Costituzione. Non tutte le generazioni hanno l’autorevolezza per cambiare la Costituzione. Che possa farlo una classe politica al minimo storico di credibilità è un ardimento senza responsabilità. Lasciamo il compito alle generazioni successive. Apprezzeranno la nostra umiltà.

C’è invece una riforma istituzionale che possiamo fare subito, non richiede un nuovo 138, è nelle nostre mani. La vera riforma istituzionale è costruire un Pd intelligente e vincente. Costringerebbe tutti gli altri attori politici a cambiare e avrebbe un effetto benefico sull’intero sistema politico.

Fare pace con la realtà significa riconoscere i problemi e cercare di risolverli. Da circa sei mesi patiamo un’inferiorità tattica con l’avversario. Berlusconi ha indovinato tutte le mosse e noi nessuna. L’agenda di governo è in mano alla destra e noi seguiamo chiosando e precisando. Accettiamo la priorità dell’Imu mentre il Governatore della Banca d’Italia ricorda che tutte le risorse disponibili andrebbero concentrate sulla creazione di lavoro.

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Accettiamo di cancellare il Porcellum solo dopo le riforme istituzionali, come se fosse una legge di rango costituzionale e non una violazione costituzionale. Accettiamo il diktat del governo, che arriva a minacciare un decreto, sui finanziamenti dei partiti, rinunciando a presentare una proposta del Pd, nonostante la sollecitazione di molti di noi che hanno elaborato soluzioni innovative. Accettiamo così di oscurare la questione più grave del finanziamento privato della politica, rinunciando a porre un limite che impedisca l’anomalia di un assegno di 15 milioni staccato al PDL dal suo proprietario. Quando porremo le nostre priorità? Quando scriveremo noi l’agenda sul lavoro per i giovani, la rinascita del Mezzogiorno, la lotta contro l’illegalità diffusa? Dobbiamo liberarci di questa subalternità e approntare una controffensiva.

Bisogna cambiare il Pd, non la Costituzione. La politica seguita in questi mesi va messa in discussione. E invece sento dire che la linea era giusta, è mancata solo la disciplina. Lo disse anche Cadorna dopo Caporetto. Poi il comando fu affidato al generale Armando Diaz, il quale riformò radicalmente l’organizzazione militare, suscitando in questo modo un nuovo senso della disciplina e unificando le forze per vincere la guerra.

Al momento del suo insediamento disse: “L’arma che sono chiamato a impugnare è spuntata: bisognerà presto rifarla pungente; la rifaremo”. Aspetto ancora un nuovo segretario del PD che si presenti con una simile intenzione. Invece la tendenza è sopire, attutire, rinviare. Come se non fosse successo niente i responsabili della sconfitta pretendono ancora di comandare. Tutte le scelte sono ancora in mano alle correnti, soprattutto gli organigrammi, come quelli proposti qui oggi per la Segreteria e per la Commissione del congresso. Ma le vecchie correnti sono state delegittimate dall’ipocrisia dei 101. Quel passaggio ha lasciato un’ombra che pesa nella vita quotidiana del partito perché ha indebolito l’intera classe dirigente. La difficoltà a prendere qualsiasi decisione, come è evidente in queste settimane, dipende dal peso di quell’incubo non chiarito e non risolto. Nuoce la polvere sotto il tappeto.

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Ma c’è un altro Pd che vince, quello dei sindaci che conquistano voti facendo finta di non conoscere i nostri dirigenti, dei militanti impegnati a dare risposte nella crisi sociale, di risorse intellettuali che vorrebbero contribuire al progetto per il futuro. Propongo di comporre la Commissione per il congresso con i rappresentanti di questo PD che vince. Non serve il bilancino delle correnti, a organizzare le regole devono essere chiamati quelli che già fanno qualcosa per riformare il partito.

Dobbiamo riconquistare la fiducia della nostra gente. Molti vogliono dire la loro e controllare che non si ripetano altri errori. Assemblee di circoli e singoli militanti avanzano proposte. Chi le leggerà? Chi risponderà? Propongo di organizzare un metodo nuovo di ascolto, con una task force professionale che metta a disposizione una piattaforma tecnologica per organizzare al meglio la partecipazione, raccogliendo tutti i contributi e offrendone una sintesi alla prossima Assemblea Nazionale. Non deludiamo le attese dei sostenitori. Mettiamo a frutto la forza migliore dei militanti e degli elettori.

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