I colori di un olocausto
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I colori di un olocausto

Dall'arancio dei giubbotti di salvataggio, al blu del mare e dei barconi, all'oro delle coperte termiche, al nero dei sacchi della morgue. Ciò che resta di una tragedia.

I colori di un olocausto
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

4 Ottobre 2013 - 18.12


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di Onofrio Dispenza

Quel che resta di loro è tutto a Cala Madonna. Quando si dice il destino dei luoghi. La Madonna, madre, come la Mediterranee, il mare che hanno attraversato per fuggire da una realtà terribile, quella eritrea che noi, distratti dalle tante cose senza valore alle quali andiamo appresso, non conosciamo. Il nostro tempo, fatto di distrazioni, di chiacchiere da caffè. Da caffè, per riprendere quella bella immagine offerta dal papa ad Assisi: “Non siate cristiani da pasticceria!”.

Quel che resta di loro, dei morti e dei sopravvissuti della strage di immigrati di Lampedusa è tutto nella lunga serie di foto senza vita che ci riportano i giornali online. Una scarpa, di quelle povere, da uomo; un sandalo, probabilmente da donna; un giaccone nero, perché le notti di chi attraversa il Mediterraneo sono sempre fredde, anche in estate. Poi, gli inutili giubbotti salvagente di sgargiante color arancio.

Quel che impressiona è la cornice blu di queste immagini, quel blu della barca, un blu esplosivo, accecante come il sole che c’è da questa parte e da quell’altra parte del mare. Un blu che è passepartout del lutto. E dentro, tante piccole, straordinarie foto di giovani. Tutti giovani, a farsi ritrarre, come non si fa più, qui da noi. In posa, davanti al fotografo, in compagnia degli amici, della propria ragazza.

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“Good luck” stampigliato su una foto: lui, lei e quel “good luck” tradito dalla ventura e dagli uomini che assistono a un nuovo olocausto senza fare quel che si dovrebbe. Buona fortuna ai sopravvissuti, gioiose praterie nei cieli a chi è stato ferito a morte dalla storia storpiata dal denaro, che ha fatto orribile la vita nel loro Paese, e terribile la fuga.

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