Boldrini: la cattiva informazione cavalca lo sfascismo
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Boldrini: la cattiva informazione cavalca lo sfascismo

Il presidente della Camera intervistata da Tv Talk affronta il tema informazione: bisogna anche raccontare ciò che di buono c'è nei fenomeni.

Boldrini: la cattiva informazione cavalca lo sfascismo
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22 Novembre 2013 - 15.45


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Dal ruolo della televisione e dell’informazione alla tutela del ruolo della donna, dei minori e della famiglia. Fino ad arrivare alla politica ed alla tragedia della Sardegna. Sono questi i temi che il presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, ha trattato rispondendo alle domande del conduttore di Tv Talk, Massimo Bernardini.*

Il modo in cui si raccontano i minori e la famiglia. Come si fa a correggere una televisione che spesso da tanti anni entra a gamba tesa su casi delicatissimi e che informa poco il telespettatore? Per esempio, nel calo di dati che ci sono sia sull’adozione che sull’affido, c’entra la mala informazione?

Ritengo che ci sia una tendenza a generalizzare l’eccezione. Se la tv si occupa solo dell’eccezione e della deformazione, della mela marcia per così dire, e sempre e costantemente solo della mela marcia, tutto il resto viene oscurato. Quindi è l’eccezione che diventa la regola, per chi sta a casa. Perché, se si parla di adozione e si parla sempre e solo al negativo di casi che sono esperienze  drammatiche e finite male, di abusi, è ovvio che rimanga solo questa percezione del fenomeno. Una buona informazione rende notizia anche di quello che di  buono c’è nel fenomeno.

Però al sistema informativo la ciccia vera che interessa è sempre l’eccezione

Ritengo che iI cinismo uccida tutto. Di tutte le cose positive non c’è traccia. Questa è una deformazione che fa l’occhietto a quella tendenza allo sfascismo per la quale deve andare tutto male e se c’è qualcosa di positivo non è degno di essere posto all’attenzione. È un vizio che ci dovrebbe far riflettere, in un momento così delicato.

Come si immagina una televisione che dai tg alla fiction alla pubblicità supporti, e non mortifichi, l’immagine della donna in tv?
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Ho visto che la nuova policy della Rai è quella di dare più attenzione alla figura femminile: la Presidente Tarantola in questo si è spesa molto e penso che stia facendo un grande lavoro, a volte anche difficile. Bisogna cercare di non andare avanti con gli stereotipi e dare più attenzione alla dignità della figura femminile, riuscire a fare in modo che ci sia più presenza femminile anche nell’informazione.  Ritengo che un altro aspetto che bisognerebbe inserire è il linguaggio: non vorrei  più sentire servizi sul femminicidio in cui si parla di “raptus”, “emergenza”, “giallo”, “baby squillo”. Lo trovo veramente inaccettabile perché questo riduce questo fenomeno, lo rende qualcosa di spettacolare ma non ne coglie la drammaticità.

Non si può parlare di raptus perché quasi tutte le donne che sono state ammazzate dai propri mariti o dai propri compagni, il 70%, avevano già  denunciato: dove è il raptus? Vorrei una tv in cui il linguaggio venisse messo al centro, e non è una questione semantica, ma è una questione concettuale. Così come mi farebbe piacere sentire parlare, quando si tratta di una donna, della Ministra, di Sindaca, della Presidente: anche l’Accademia della Crusca ha detto che dal punto di vista linguistico è corretto. È un problema culturale. Laddove una tv si propone come obiettivo quello di abbattere le differenze di genere, penso che il linguaggio non sia un dettaglio: anzi, ritengo che sia cruciale nella percezione.


Secondo lei vale davvero tanto il racconto della politica da portarlo così tanto nella televisione italiana?

Penso che questa inflazione di politica in tv allontani l’opinione pubblica dalla politica, specialmente laddove il dibattito non è sereno ma è basato sulle urla, sulla sopraffazione; le persone sono stanche di questa modalità, preferirebbero un altro modo di fare comunicazione politica, un modo più rispettoso, e anche più basato sui temi specifici: perché non è possibile che si salti nello stesso contenitore da un argomento all’altro con una tale disinvoltura per cui i politici dovrebbero essere dei tuttologi, sapere tutto di tutto. Io ritengo che invece bisogna avere delle competenze specifiche per dare un contributo alla gestione della cosa pubblica. Dunque sarebbe auspicabile che ci fosse forse meno politica, ma una politica basata su un dialogo più sereno, perché chi si esprime senza gridare magari non attira la morbosità, però è più stimato dal cittadino, dall’opinione pubblica.

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Secondo lei il modo con cui si rapporta il mondo politico con la Rai, in particolare con la Commissione di vigilanza – che per altro è difficile reperire in un altro ordinamento europeo – è un rapporto che va bene così o, secondo lei, c’è qualche correzione che si potrebbe fare?

Ritengo che ci dovrebbero essere delle correzioni. La tv pubblica non necessariamente deve avere una così consistente influenza politica: si può avere un tv pubblica come in altri paesi, dove la politica non ci mette le mani. Credo che questo servirebbe al nostro Paese. Servirebbe a dare più credibilità alla politica e al servizio pubblico. Ritengo che sia qualcosa su cui riflettere.  In altri Paesi questo è possibile e non vedo perché non debba essere possibile nel nostro.

Questa è stata la settimana del racconto dell’Emergenza Sardegna e la nostra televisione si è impegnata con tante dirette, però salta sempre fuori una caratteristica della nostra informazione televisiva, è come se non ci fosse mai un pre-approfondimento delle cause. È la disabitudine del racconto critico dell’Italia e del mondo, oppure è il pubblico italiano che lo rifiuta e quindi la televisione si adegua?
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Non ritengo che il pubblico lo rifiuti. Anzi, ritengo che ci sia stata una sottovalutazione da parte del sistema informativo e comunicativo italiano dell’importanza di aprirla, questa finestra. I nostri giovani, i nostri ragazzi oggi dovrebbero essere pronti alla grande sfida globale. Allora avere una tv che è capace di farlo vedere, questo estero, di rappresentarlo e presentarlo all’opinione pubblica, significa che questa tv è in grado di preparare i nostri giovani a questa sfida,  che è una sfida difficile. Guardiamo  le migrazioni, perché questo è un punto molto significativo. A volte ci sono delle sciagure del mare: allora c’è una grande attenzione a quello che è accaduto, tutti siamo molto commossi. Ma poi le persone non riescono ad andare oltre e darsi la risposta sul perché centinaia di migliaia di persone rischiano la vita in mare.

Avrei preferito vedere nei nostri telegiornali e approfondimenti delle schede sull’Eritrea. Perché generazioni di giovani da anni continuano a lasciare l’Eritrea? Che cosa li spinge a fare questo? Come mai tutti fanno la stessa cosa? Chi lo fa sapere che i ragazzi e ragazze devono fare il servizio militare obbligatorio dai sedici anni in poi senza limite di tempo? Lì avremmo trovato le risposte.

Ma i miei colleghi dicono che in prima serata questo al pubblico non interessa…

No, mi rifiuto, questo non è vero. Perché quando si parla alle persone e si spiega chi sono questi rifugiati che arrivano, e si motiva il perché della fuga, le persone ascoltano e capiscono. E sono pronte anche a cambiare idea, questo è il grande potenziale della tv.

*L’intervista andrà in onda sabato 23 novembre alle 14,50 su Rai 3

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