Marine Le Pen: il nome della vendetta
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Marine Le Pen: il nome della vendetta

I commenti più interessanti sulla vittoria della Le Pen (un quarto dei voti) e sul crollo di Hollande (meno del 15%) non sono di oggi, ma di ottobre scorso. Buona lettura

Marine Le Pen: il nome della vendetta
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25 Maggio 2014 - 21.22


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I commenti più interessanti per la notevole vittoria in Francia nelle elezioni europee da parte del Fronte nazionale di Marine Le Pen (un quarto dei voti), considerata insieme alla disastrosa sconfitta del presidente François Hollande (meno del 15%), non sono quelli che possiamo fare con il ‘senno del poi’, bensì quelli scritti in tempi non sospetti. Perciò riproponiamo un articolo pubblicato da Keynesblog lo scorso ottobre.

Buona lettura.


Il nome della vendetta   

da Keynesblog.com, 10 ottobre 2013.


Nel recente “monito degli economisti” pubblicato sul Financial Times, veniva richiamata la profezia che Keynes consegnò nel suo Le conseguenze economiche della pace.
Allora – eravamo all’indomani della prima guerra mondiale – le potenze
vincitrici imposero alla Germania pesantissimi risarcimenti. Secondo
Keynes questa tenacia nel voler umiliare i tedeschi avrebbe prodotto
quei risentimenti che poi favoriranno l’ascesa del Nazismo: «Se diamo
per scontata la convinzione che la Germania debba esser tenuta in
miseria, i suoi figli rimanere nella fame e nell’indigenza [.], se
miriamo deliberatamente alla umiliazione dell’Europa centrale, oso farmi
profeta, la vendetta non tarderà».

Questa volta, forse, la vendetta non attenderà 14 anni. E sembra avere già un nome e un volto, quello di Marine Le Pen, leader del “Front National”. In un sondaggio pubblicato ieri dal settimanale di sinistra Nouvel Observateur il
FN è attestato al 24%, due punti più dei gollisti di Sarkozy e ben
cinque più dei socialisti del presidente Hollande. Mancano solo sette
mesi alle elezioni europee del maggio 2014. La Francia voterà con il
proporzionale e quindi l’ascesa del FN non verrà limitata dal sistema a
doppio turno.

Le previsioni sono difficili in politica
come in economia. Nonostante ciò ci sentiamo di poter azzardare qualche
scenario. Se le elezioni confermassero i risultati dei sondaggi, la
vittoria di una forza dichiaratamente antieuropea porterebbe i mercati a
scommettere nuovamente sull’uscita dei paesi periferici dall’area euro.
Stavolta però entrerebbe in scena la BCE con il suo programma OMT di
sostegno ai debiti sovrani in cambio di “garanzie”. Se da un lato ciò
riporterebbe la calma sullo spread, dall’altro aumenterebbe la
pressione, già altissima, sulle popolazioni colpite dall’austerità e i
timidissimi passi verso un allentamento del rigore che si erano
manifestati nei mesi scorsi sarebbero cancellati di colpo. Non si può
escludere che a quel punto la Le Pen, che si dice già pronta a guidare
la Francia come presidente, potrebbe diventare un esempio da seguire
nelle periferie europee.

Di fronte al 24% pronosticato dal
sondaggio, François Hollande non ha avuto meglio da dire che occorre
“rialzare la testa di fronte agli estremismi e alla xenofobia”. Ma il
prossimo successo della Le Pen è dovuto in buona parte al fatto che la
Francia socialista ha abbassato la testa di fronte alla Germania.
Hollande aveva promesso in campagna elettorale di ricontrattare il
Fiscal Compact e imporre una svolta all’Europa, ma ha infranto questa
promessa già pochi giorni dopo la vittoria.

Le classi dirigenti europee sembrano
ignorare totalmente questi pericoli e insistono nel percorrere la strada
del rigore e dell’abbattimento dei redditi. Sempre ieri, di fronte agli
economisti americani riuniti ad Harvard, Mario Draghi ha ribadito
l’irreversibilità dell’euro e si è vantato della riduzione dei deficit
pubblici in Europa, molto più pronunciata di quella negli Stati Uniti.

Ben più dell’euro si gioca in questa
partita e l’ostinazione nel non prendere atto dell’insostenibilità della
moneta unica nella sua forma attuale sembra resistere di fronte
all’evidenza, sorretta dall’illusione che l’austerità e le “riforme
strutturali” stiano producendo un nuovo equilibrio nell’eurozona, mentre
vi sono buone ragioni per ritenere la divaricazione di competitività
tra “centro” e “periferia” si stia allargando e che le politiche sinora
attuate stiano piantando i semi di una nuova crisi.

Nel frattempo l’Italia, guidata da una
classe dirigente incapace di autocritica, si illude di ottenere qualcosa
dall’UE rispettando i parametri di Maastricht alla lettera e
presentandosi in Europa con il cappello in mano. “Le persone timide in posizione di responsabilità – scriveva Keynes – sono un passivo per la nazione”.





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