È diventata una festa senza anima eppure è una data fondamentale alla base della democrazia repubblicana. Discende infatti dal significato e dal valore del 25 Aprile la stessa Costituzione che proclama i principi, i diritti e i doveri fondamentali, l’articolazione pluralistica dello stato e la prospettiva di un futuro di pace e di ripudio della guerra. E tuttavia la causa principale del ricordo quasi distratto del 25 Aprile si lega a una certa stanchezza per la democrazia, alla libertà vissuta troppo spesso come licenza eo arbitrio del più forte, alla legalità come mera declamazione retorica copertura non di rado della corruzione dilagante. Con i partiti ridotti ad agenzie di affari di vario segno e colore privi di rapporti vitali con la società e le sue espressioni significative, anch’esse troppo spesso in crisi di ideali e di valori. Ne consegue una scarsa capacità di rappresentanza ridotta a tutele corporative.
Si tratta della società liquida teorizzata da Bauman. Risultato dovuto all’intreccio dei fattori sopra richiamati, con l’aggravante di una crisi economico-sociale senza precedenti accompagnata dal crescere vertiginoso degli emarginati e dalle vecchie e nuove povertà. Il timore è di procedere inesorabilmente verso una società meno accettabile e solidale di quella che l’ha preceduta.
Soprattutto i giovani sperimentano l’assenza di prospettive per il futuro con una disoccupazione che non trova risposte, specie al sud e in particolare per le donne.
La politica purtroppo annaspa, continuamente tentata da un’autorappresentazione trionfalistica e compiaciuta, incapace di vero dialogo e ascolto con i cittadini, rinchiusa com’è nel circuito stretto e vischioso degli addetti ai lavori, finendo in qualche modo per meritarsi la definizione di “casta”. Il grande sociologo Joseph Schumpeter, analizzando la struttura del potere e i rischi delle moderne liberal-democrazie, definiva la politica ridotta a mero conflitto per la conquista del potere come “lotta tra oligarchie”.
Si affermano prepotentemente le aspirazioni per i successi personali e liederistici, tentazioni di arricchimento e di successo che deformano il costume e la mentalità diffusa. I giovani rischiano di essere le maggiori vittime, condannati a un precariato permanente e alla ricerca di rapporti di amicizia e di tutela, percepiti come l’unica strada per usciere dalla condizione di totale incertezza e disperazione.
Comprensibile allora la difficoltà di raccontare l’importanza del 25 Aprile che pure è Festa Nazionale sancita da un decreto del presidente Alcide De Gasperi, controfirmato dal luogotenente Umberto di Savoia – il Re triste – che dopo il referendum monarchia-repubblica sarebbe partito per l’esilio in Portogallo.
Era stato il Comitato Nazionale di Liberazione del nord Italia a chiamare all’insurrezione il popolo italiano, la cui risposta fu generosa e largamente condivisa. Era anche la fine di una guerra lunga e devastante, alla cui parte finale aveva dato un contributo non secondario l’Esercito di Liberazione e le differenti formazioni partigiane. Non mancarono purtroppo episodi dolorosi e tragici, da guerra civile con vendette e atrocità compiute dall’una e dall’atra parte. Non possono però far smarrire il segno essenziale del 25 Aprile: segna l’affermazione della libertà in un Paese che aveva subito anche l’onta della Repubblica di Salò e del servaggio totale alla Germania nazista fino all’infamia delle leggi raziali e del rastrellamento verso i campi di concentramento. Di tutto questo bisognerebbe fare memoria a cominciare dai ragazzi delle scuole fino ai politici e ai rappresentanti di tutti le istituzioni. Solo le parole di Piero Calamandrei possono racchiudere l’urgenza di una riflessione esigente che continua a riguardaci tutti.
Lo avrai
camerata Kesserling
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi
non con i sassi affumicati dei borghi inermi
straziati dal tuo sterminio
non con la terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non con la neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non con la primavera di queste valli
che ti vide fuggire
ma soltanto con il silenzio dei torturati
più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono
per dignità non per odio
decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo
su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi con lo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama ora e sempre
Resistenza.”