Tre persone su 10 o poco più, [url”il 31,18%”]http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=87772&typeb=0&referendum-fallito-vota-solo-un-italiano-su-tre[/url], dati ufficiali. Questa è la percentuale di persone che sono andate a votare il referendum abrogativo sulle trivelle. Troppo pochi rispetto al 50% più uno necessario per rendere valido il voto. Un risultato che inevitabilmente regala la vittoria al ‘no’ e che concederà di estrarre gas e petrolio alle piattaforme offshore presenti entro 12 miglia dalla costa fino all’esaurimento dei giacimenti. Il ‘sì’ avrebbe permesso di concludere le estrazioni al termine dei contratti già stipulati, per poi smantellare queste ‘sanguisughe’ metalliche dai nostri splendidi mari. Due opzioni contrapposte, una che difendeva il bene economico di pochi, l’altra la salute e il benessere di tutti. Eppure di quei tutti, soltanto un terzo ha preso la tessera elettorale ed è andato a mettere una croce in seggio. Vogliamo dire che il resto era a favore delle trivellazioni? Assolutamente no.
Su molti avrà fatto leva l’invito del premier Renzi, che da non eletto quale è, ha invitato gli italiani a non votare. Una cosa mai vista nella storia, che avrebbe dovuto spingere ancora di più verso le urne un popolo come quello italiano, vessato e imbrogliato nel tempo dalla classe politica. Tu mi inviti a non votare? Allora ci vado subito. Invece non è andata così. Altri saranno stati spaventati dalla minaccia dei posti di lavoro che sarebbero andati persi, notizia per altro smentita da più parti. Ma al di là delle intimidazioni e delle conseguenze catastrofiche, il flop alle urne del referendum evidenzia ancora una volta quello che è il problema lampante dell’Italia: la cultura. Eravamo un popolo di santi, poeti e navigatori, adesso i santi sono sui campi di calcio, i poeti non hanno più la lingua e di navigatori (online) ce ne sono anche troppi. Abbiamo dimostrato di essere pigri e disinformati, ma stavolta non ci si può nascondere dietro il dito dell’ignoranza: giornali, radio e tv ne hanno parlato abbondantemente, sviscerando e ‘trivellando’ la questione in ogni modo possibile. La verità è che siamo un popolo atipico, amiamo lamentarci, ma poi quando è il momento di agire inventiamo sempre un’ottima scusa. Ci arrabbiamo perché abbiamo un Governo non eletto e poi quando c’è da esprimere la propria opinione, anche se su un argomento differente, ci tiriamo indietro. Quello che manca è la voglia di conoscere, di capire e di approfondire. Possono essere pubblicati milioni di articoli su una questione, ma poi sta al singolo individuo avere la coscienza di leggere e informarsi, altrimenti si finisce per dire la frase peggiore di tutte: “Non so neanche di che stiamo parlando, quindi non voto”. Ma in certi casi la vita è come la legge, non ammette ignoranza.
Una carenza culturale che si traduce inevitabilmente in una mancanza di senso civico. Da come trattiamo le città in cui viviamo, spesso sporche e caotiche, si capisce il rispetto verso il bene pubblico. Alla fine è molto semplice, come inquinare lanciando una carta per terra. E figuriamoci se uno che è abituato a farlo va a votare per le trivelle in mare. Il paragone è forse paradossale, ma nasconde il suo briciolo di verità, un po’ triste e un po’ scomoda. Siamo un popolo senza quorum e in questo abbiamo perso tutti. La speranza è che almeno riemerga un po’ di cervellum.