Avevo diciassette anni nel 1982, leggevo “L’Espresso” e mi ricordo ancora lo slogan dell’allora Pci: “Se non ti occupi di politica, la politica si occupa di te”. Era il tempo in cui cominciava a vacillare la fiducia nel voto e si iniziava a parlare di astensionismo. Io presi a fare politica a scuola nel consiglio d’istituto ma, strada facendo, mi accorsi che la politica era tutte le volte che un mio gesto o una mia scelta coinvolgeva altre persone, perché anche scegliere di studiare da solo o in gruppo era in fondo politica!
Ho votato la prima volta per un referendum e mai mi sono sognato di limitare questo importante strumento di consultazione popolare. Negli anni successivi mi sono anche candidato tre volte, naturalmente senza successo, e sempre ho pensato che il voto era un importante strumento della democrazia: agli amici scettici che volevano astenersi io ricordavo le lotte dei nostri genitori per la libertà contro la dittatura, tutte quelle donne e quegli uomini che avevano dato la loro vita per conquistare la democrazia.
Non è male ricapitolare la storia dell’affluenza alle elezioni politiche nell’Italia repubblicana.
Dal 1946 al 1992, il nostro paese ha visto sempre percentuali di votanti oscillanti tra il 93,84% del 1953 e l’87,35% del 1992, dunque con uno scarto massimo di 6 punti percentuali ed un elettorato poco propenso all’astensione. Poi, tra il 1992 e il 1996, cresce la disaffezione al voto, proprio in quella fase di passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, con il crollo dei partiti tradizionali e la creazione di nuove forze politiche, favorite sia dalla crisi morale di Tangentopoll che dal nuovo sistema elettorale maggioritario: nel giro di quattro anni si vota tre volte per le politiche e l’affluenza cala di ben 5 punti percentuali, arrivando all’82,88% del 1996. Nel 2006 si vota con la legge Calderoli, che sarà in breve tempo soprannominata “Porcellum” in quanto lo stesso senatore leghista primo firmatario della legge la definirà ben presto una “porcata”. La legge, oltre che rendere più arduo il raggiungimento di una maggioranza effettiva e omogenea nei due rami del parlamento, toglie all’elettore la possibilità di scegliere il candidato da votare. Nonostante le tante polemiche, si è votato per ben tre volte con questa legge, tra il 2006 e il 2013, col risultato di far crollare l’affluenza di ben 9 punti, dall’81,20% del 2006 al 72,25% del 2013.
Il prossimo 4 marzo saremo chiamati ad esprimerci ancora una volta (la quarta consecutiva) con un sistema, il cosiddetto Rosatellum, nel quale non è prevista l’espressione di voti di preferenza cosicché nei collegi plurinominali, determinato il numero degli eletti che spettano a ciascuna lista, i candidati saranno eletti, come col famigerato Porcellum, nell’ordine fissato al momento della presentazione della lista, ordine stabilito naturalmente dai vertici del partito. E’ il caso di ricordare che la legge elettorale “rosatellum” è stata approvata con ben 8 voti di fiducia, da un parlamento dichiarato, di fatto, illegittimo dalla sentenza del 4 dicembre 2013 con cui la Corte Costituzionale aveva dichiarato incostituzionale la legge Calderoli.
Ma allora, perché votare ancora una volta con una legge che, impedendo all’elettore il voto di preferenza, andrà incontro inevitabilmente fra pochi mesi al giudizio presumibilmente impietoso della Corte Costituzionale, che già nel 2013 aveva bocciato il “Porcellum” anche per l’impossibilità per l’elettore di fornire una preferenza?
La mia modesta proposta di protesta consiste nella restituzione della tessera elettorale al Presidente della Repubblica, mettendo in atto una forma di “astensione attiva”, un atto di disobbedienza civile per stimolare la massima carica dello Stato ad intervenire energicamente per restituire dignità allo strumento democratico del voto. La restituzione della tessera elettorale è una protesta che ho già attuato con alcuni amici nel 2015 contro l’odioso sbarramento dell’8% previsto dalla legge elettorale della regione Puglia. In quell’ occasione, il presidente Mattarella rispedì le tessere ai comuni per restituirle a noi cittadini “disobbedienti” con una lettera di invito a recarsi comunque alle urne. Il sottoscritto ricevette la tessera una settimana prima del voto ma la rispedì al Presidente il giorno prima del voto, per confermare l’assoluta indisponibilità a sottostare a una legge sbagliata e antidemocratica.
Le segreterie dei partiti ci chiedono dunque di essere sudditi e di andare a mettere una croce su dei simboli, per poi mandare in parlamento rappresentanti , non della volontà del popolo, ma di quella dei segretari di partito. Io non ci sto e sono certo che questa volta il calo dei votanti sarà ancora più forte, come dimostrato dalle elezioni amministrative degli ultimi tre anni. Per questo mi accingo a restituire la mia tessera a Mattarella con una lettera esplicativa delle ragioni del gesto.