Incarico, preincarico, incarico esplorativo: concetti sfumati che sanno di passi felpati su tappeti secolari, seguendo le regole di cerimoniali un po’ polverosi e carichi di storia. Tutti sanno più o meno che vogliono dire, ma nessuno lo sa con certezza. Per questo, se si deve parlare di cosa sia un preincarico, o un incarico esplorativo, è bene rivolgersi alla Treccani, che è come se fosse la Cassazione. Ecco allora che il preincarico viene definito, senza possibilità di appello, “incarico conferito dal capo dello Stato, in caso di crisi di governo, a personalità di rilievo politico perché verifichi le possibilità di soluzione; viene affidato (e si distingue pertanto dall’incarico, o mandato, esplorativo) a chi presumibilmente riceverà poi l’incarico vero e proprio”. Leggi: Se Bersani avesse avuto un pugno di voti in più, nel 2013, addio Renzi, sarebbe rimasto a fare il sindaco a Firenze. Ma non li aveva, e fu peggio per lui.
Se ne evince, specularmente, che l’incarico esplorativo è quello affidato ad una personalità istituzionale che debba, per l’appunto, esplorare se una crisi di governo presenti qualche possibilità di soluzione. È l’arma del Presidente della Repubblica per scardinare i veti incrociati che bloccano le consultazioni al Quirinale: il Capo dello Stato delega qualcuno che gli fa il grosso del lavoro, in modo meno formale, e poi viene a riferire. E non è detto che non sia lui, l’ambasciatore designato, alla fine ad ottenere l’incarico pieno, perché se trovi la soluzione alla fine la torta è tua.
È successo e nessuno se ne stupisca, perché quelli che sembrano bizantinismi e liturgie degne della corte del papa re in realtà sono metodologie ben studiate. E se, come avviene nel 99 percento dei casi, l’esploratore è il presidente della Camera e del Senato, si calcoli che per essere arrivato così in alto deve essere stato eletto da qualcuno, e quindi ha alle spalle un consenso che gli viene dall’accordo dei partiti che lo hanno designato. Alle corte: ha i voti in almeno una delle due camere, e questo vuol dire che tanta parte del lavoro per arrivare a Palazzo Chigi è già stato fatto.
Non è un caso, pertanto, che l’incarico esplorativo sia qualcosa che nasca per germinazione spontanea, in quel campo mille volte arato e mai del tutto esplorativo che è la prassi costituzionale, quando affiorano le prime difficoltà. È, per restare nel caso, il 1960, e tramonta il centrismo postdegasperiano sotto i colpi della nascente apertura a sinistra. Fu questo il disegno che indusse Gronchi, dal Quirinale, a incaricare un Giovanni Leone presidente della Camera di studiarne la possibilità.
Il risultato non fu soddisfacente: Leone chiuse l’esplorazione registrando un no e tempo 26 giorni vide la luce il governo Tambroni, che tutto era meno che di centrosinistra. Sempre Leone, e sempre da presidente della Camera, ebbe un incarico sempre esplorativo tre anni dopo, quando Moro ancora non riesce a dare vita alla sua creatura targata Dc-Psi. Alla fine vara un governo-ponte (altra figura appartenente alla Costituzione materiale italiana, anche se ultimamente caduto un po’ in disuso) che spiana la strada all’ingresso dei socialisti a pieno titolo nella maggioranza.
Niente da stupirsi, allora, se sempre Leone, non più presidente di un’assemblea parlamentare ma divenuto addirittura senatore a vita, compie la stessa operazione cinque anni dopo, proprio per chiudere la stagione del centrosinistra moroteo. Altro governo ponte, altra fase della storia repubblicana. Che viene sancita da un ulteriore incarico esplorativo lo stesso anno: è il 24 novembre 1968, e il mandato è affidato al Presidente della Camera. Si chiama Sandro Pertini, uomo facile agli scatti e agli sbuffi.
Infatti terrà in mano le redini solamente per 24 ore e non un minuto di più. Rinuncerà, e due settimane dopo Mariano Rumor seppellirà definitivamente il progetto di Aldo Moro, anche se alla vigilia dell’autunno caldo del ’69 sarà costretto a lasciare – temporaneamente – ed un Amintore Fanfani presidente di Palazzo Madama esplorerà su richiesta di Giuseppe Saragat la via di rimettere insieme i cocci di un Psi che aveva pensato bene di dividersi in due. Macchè: la soluzione fu un monocolore democristiano senza nessuna sfumatura di rosso, nemmeno di rosè socialdemocratico.
Nel 1970 ecco nascere l’istituto del preincarico, ed in forma ripetuta. Preincarico ad Aldo Moro, ministro degli esteri, il 3 marzo, dopo le dimissioni di Rumor. Lo tiene dieci giorni, poi lascia perdere. Secondo preincarico a Fanfani, ancora presidente del Senato. Niente da fare: dopo 20 giorni Rumor è di nuovo lì, al Quirinale, a giurare nelle mani di Saragat.
Ma a Moro basterà aspettare solo qualche anno: nel 1974 un incarico esplorativo al presidente del Senato Giovanni Spagnolli gli apre la strada per creare il suo quarto governo. E Fanfani? Ha appena visto abortire un suo tentativo, ma si rifarà all’inizo0i degli anni ’80 per il suo quinto esecutivo. Lascerà nel 1983, e dopo il mandato esplorativo ad un nuovo presidente del Senato, Tommaso Morlino si andrà alle elezioni. Sorgerà di lì a poco il sole di Bettino Craxi. Questi regge per tre anni esatti, ed alle dimissioni del suo esecutivo seguiranno due incarichi esplorativi di seguito: proprio Fanfani e Andreotti. Esplorazioni inutili di una giungla il cui il vero dominatore è l’uomo che i nemici chiamano Bokassa; Craxi alla fine crea un nuovo governo, tutto suo.
Lascia anche lui Palazzo Chigi, e Francesco Cossiga dal Colle intravede una possibilità di esplorazione in Nilde Iotti, la prima donna della Repubblica ad andare così vicina alla guida del governo. Tra l’altro, anche il primo esponente comunista. È presidente della Camera, gode di autorevolezza assoluta, e alla fine apre la strada ad una novità, anche se al maschile: Giovanni Goria, che è maschio e democristiano, ma è il più giovane presidente del consiglio italiano, fino ad allora. Ha 44 anni.
L’ultimo incarico esplorativo della Prima Repubblica è quello di Giovanni Spadolini, il 26 maggio 1989: lascerà il posto al lungo canto del cigno di Giulio Andreotti. Poi sarà Muro di Berlino, Tangentopoli e Polo delle Libertà. Quando Berlusconi cade per la prima volta, e viene sostituito da Dini che però lascia la guida del governo all’inizio del 1996, Oscar Luigi Scalfaro scopre che c’è un uomo delle istituzioni, ma mai titolare di cariche istituzionali, in fado di andare a vedere che si può fare prima di andare alle ennesime elezioni anticipate. Si chiama Antonio Maccanico, ha 72 anni e le ha viste tutte. Infatti, dopo la sua rinuncia, arriverà la vittoria elettorale dell’Ulivo.
A questo punto Scalfaro, uomo prudente, assegna a Romano Prodi che dell’Ulivo è leader designato, ma non ha un partito suo a dargli garanzie di sopravvivenza, di nuovo un preincarico. Quasi tutti si sono dimenticati, nel frattempo, di cosa voglia dire. Eppure sempre Scalfaro, per ragioni opposte, farà la stessa cosa con Massimo D’Alema due anni dopo, dopo la fine del governo del Professore. Questi tornerà, e dieci anni dopo un incarico esplorativo dato da Napolitano ad un Franco Marini seduto ai vertici di Palazzo Madama ne sancirà il tramonto. Si arriva, una legislatura abbondante più tardi, al preincarico più famoso di tutti, quello a Pierluigi Bersani, che nessuno ha mai capito quanto fosse voluto per aiutarlo o per bruciarlo. Che poi è la cattiveria che taluni attribuiscono a Sergio Mattarella, il quale mediterebbe di ricorrere a quest’arma una volta esaurito anche il secondo giro di consultazioni, venerdì sera. Si vedrà.
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