Mi domando: che cosa significa questa festa della Liberazione oggi, in un Italia senza un governo, che brancola nel buio che sembra aver perso tutti i riferimenti politici e culturali e persino quelli della Storia? Persino il tradizionale corteo non vedrà la partecipazione degli Ebrei perché l’Anpi non accetta simboli divisivi che non hanno nulla a che vedere con la Resistenza. Insomma la Festa della Liberazione oltre ai suoi significati profondi sembra perdere anche il suo spirito unitario.
E poi si parla troppo di festa condivisa, di festa che appartiene a tutti e ci si dimentica del fatto che è la festa della liberazione dal nazi fascismo. Una vittoria che è costata tanto sangue e tanto sacrificio di giovani vite per la nostra libertà e il nostro futuro. Disse Sandro Pertini, il presidente della Repubblica più amato, un uomo che si batté per la nuova Italia, che sacrificò la propria giovinezza che si consumò fra galera, lotte e confino, “Certo noi abbiamo sempre considerato la libertà un bene prezioso, inalienabile. Tutta la nostra giovinezza abbiamo gettato nella lotta, senza badare a rinunce per riconquistare la libertà perduta. Ma se a me, socialista da sempre, offrissero la più radicale delle riforme sociali a prezzo della libertà, io la rifiuterei, perché la libertà non può mai essere barattata. Tuttavia essa diviene una fragile conquista e sarà pienamente goduta solo da una minoranza, se non riceverà il suo contenuto naturale che è la giustizia sociale. Ripeto quello che ho già detto in altre sedi: libertà e giustizia sociale costituiscono un binomio inscindibile, l’un termine presuppone l’altro: non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà, come non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale.”
Oggi si vuole che il 25 aprile sia una festa condivisa, ed è giusto, ma alcuni non vogliono riconoscere che quelli che ci dettero la libertà dovettero combattere contro altri italiani che invece questa libertà ci negarono. Un sottotenente della Folgore che resistette a El Alamein alle forze inglesi soverchianti, disse che la Resistenza nacque lì, in odio all’alleato tedesco che nella terribile ritirata nel deserto impediva ai poveri soldati italiani di aggrapparsi ai loro camion.
La Resistenza cominciò a Porta San Paolo quando un gruppo di militari e di civili difese la Capitale contro le soverchianti forze tedesche, mentre il re con il suo seguito si imbarcava a Pescara sul Baionetta, diretto al Sud, lasciando l’esercito allo sbando e il Paese in balia dei tedeschi, che da alleati si erano trasformati in invasori.
La resistenza incominciò a Cefalonia, dove più di 5000 italiani preferirono la morte piuttosto che cedere le armi ai tedeschi. Qualcuno disse che quel giorno morì la Patria, niente di più falso perché quel giorno, a Cefalonia, a Porta San Paolo la Patria risorse a nuova vita.
Il 25 aprile si ricorda l’insurrezione delle grandi città del Nord dove i partigiani avevano resistito per un anno e mezzo, ma avevano difeso anche con le armi le fabbriche che i tedeschi volevano smantellare o sabotare.
Tutta l’Italia migliore partecipò alla Resistenza. Ci furono formazioni comuniste, le famose brigate Garibaldi, ma ci furono le formazioni socialiste, intitolate a Matteotti, il martire dell’antifascismo, le formazioni cattoliche, le formazioni dei liberalsocialisti di Giustizia e Libertà, ma anche i liberali, i monarchici, i carabinieri (in Valdorcia, in Toscana, le formazioni partigiane erano comandate da un maresciallo dei carabinieri). In questo senso possiamo dire che la Resistenza e la Liberazione sono di tutti, perché tutte queste forze politiche e sociali e culturali concorsero alla cacciata dei nazisti e dei fascisti ma anche alla ricostruzione morale e materiale del Paese.
Resistenza, quando l'Italia migliore restituì l'onore alla Patria tradita
Resistenza e Liberazione sono di tutti, perché tutte forze politiche e sociali e culturali concorsero alla cacciata dei nazisti e dei fascisti
Giancarlo Governi Modifica articolo
24 Aprile 2018 - 14.34
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