Csm e democrazia M5s: o si eseguono i loro ordini o è complotto
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Csm e democrazia M5s: o si eseguono i loro ordini o è complotto

I grillini nel nome dell'indipendenza della magistratura volevano Alberto Maria Benedetti, avvocato della schiatta genovese, di fede Beppe Grillo

Di Maio e Bonafede
Di Maio e Bonafede
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Tommaso Verga Modifica articolo

27 Settembre 2018 - 15.29


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Con quel cognome neanche ti viene il sospetto. Come può un Bonafede metterci malizia? E’ così naturaliter. Il ministro si interrogherebbe su chiunque, incluso o meno nell’elenco favorevoli e contrari del dizionario Rousseau. Non ne ricaverebbe nulla quanto ad arricchimento della conoscenza e della consapevolezza ma gli hanno imparato che si deve comportare così (mmm… imparato? O insegnato? massì, fa lo stesso).

Chi invece consapevolmente malizia senza ritegno e a piene dosi è Luigi Di Maio, il capo politico del partito di Bonafede. Del quale si dice che spenda un mare di gettoni, rigorosamente bitcoin, nel solito dizionario, per vedere cosa si ricava in termini di influenza, ascendenza, storia e cronaca. Insomma, un risultato che illustri l’appartenenza.

Perché il leader grillino sarà pure scarso in storia e geografia (soprattutto) ma quando si parla di «appartenenza» sa benissimo di cosa si tratta: è uno dei non moltissimi vocaboli frequentato con assiduità, senza riserve.

«Appartenenza» che Di Maio avrebbe esercitato stamattina, in sede di elezione del vicepresidente del Csm. Il nome era lì, noto e pronto: Alberto Maria Benedetti, avvocato della schiatta genovese, di fede Beppe Grillo come Luca Lanzalone (stadio della Roma). E invece finisce che la «politica intrufolata nel Csm» elegge un deputato dem bilegislature come David Ermini, spedito a Palazzo dei Marescialli dall’accordo tra Pd e 5stelle.

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Absit iniuria…? Siamo a luglio. Il Parlamento in seduta comune deve eleggere i membri laici del Csm, otto. Presenti 800: a David Ermini vanno 723 voti, ad Alberto Maria Benedetti, 730. A meno non si tratti dell’unico caso riuscito (sinora) di disobbedienza, la trafila sta a dire che Di Maio era tra i registi del patto. E che a «fregarlo» sono stati quelli esclusi dall’accordo sul nome di Benedetti.

Il vicepresidente del Consiglio può raccontarla come vuole, non conta che Ermini sia poco «simpatico» (è un renziano, che ci vuole!), ma fatti e numeri non obbediscono a suoi strepiti da stadio. E preoccupa la continua solfa, l’incitamento contro il nemico.

Ultimo bitcoin. Fatto. Digiti Luigi Di Maio e dall’apposita feritoia esce la contromarca: «madri di Plaza De Mayo» (sul Rousseau refusi e versioni straniere non vengono corretti, sarebbe un lavoro improbo, richiederebbe un professionista della lingua e manderebbe in tilt il sistema operativo).

Allora, Plaza De Mayo. Per Di Maio non dice niente. Fornire un collegamento, – sollecita Rousseau –, Buenos Aires, i colonnelli, i desaparecidos… Di Maio si arrabbia, grida alla trappola, che si è scelto un modo elegante per accusarlo di… cosa? Di permettere (assieme al socio Salvini) che si possa volgere l’attenzione, oggi, nel nostro Paese, a quelle vicende.

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