Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio, a proposito del Tap, ha dichiarato il 27 ottobre: “Non è semplice dover dire che ci sono delle penali per quasi 20 miliardi di euro, ma così è, altrimenti avremmo agito diversamente”. Alla domanda di un giornalista se non lo sapessero durante la campagna elettorale ha risposto: “No, perché le carte ovviamente un ministro le legge quando diventa ministro, soprattutto a noi del M5s non ci hanno mai fatto leggere niente”. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in una lettera ai cittadini di Melendugno, aveva poi chiarito che, tecnicamente, non si tratta di penali bensì di risarcimenti, il cui conto potrebbe arrivare a 35 miliardi. Ma il M5s poteva non sapere, come sostiene Di Maio?
Il suo predecessore allo Sviluppo economico, Carlo Calenda, il giorno successivo su Twitter ha smentito questa ricostruzione. Calenda, rivolgendosi qui al presidente del Consiglio Conte, ha scritto: “Se sostieni che esistano carte nascoste e penali dimostralo. Se invece parli dei costi di un risarcimento erano ben conosciuti da tutti. In primo luogo da quelli che hanno detto che avrebbero chiuso il Tap in due settimane”.
L’ultimo riferimento è in particolare ad Alessandro Di Battista, che il 2 aprile 2017, aveva dichiarato a una manifestazione no-Tap che: “Con il governo del M5S quest’opera la blocchiamo in due settimane”.
Ma vediamo di fare chiarezza sulla questione delle penali.
Con “penale” si fa normalmente riferimento alla “clausola penale” disciplinata dall’articolo 1382 del codice civile. In base a questo: “La clausola, con cui si conviene che, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l’effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore. La penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno”.
Traducendo: secondo la legge, insomma, si tratta di una clausola che deve essere esplicitata nel contratto, che stabilisce la somma che una parte del contratto deve all’altra in caso di ritardo o inadempimento. In questo modo, da un lato si limita il risarcimento a una somma predeterminata e dall’altro si rende non necessario, per chi chiede il risarcimento, provare il danno subito.
In assenza di clausole penali, l’entità del risarcimento viene normalmente stabilita dal giudice dopo aver ascoltato le ragioni delle parti.
Quando è coinvolto lo Stato, normalmente si applica il diritto amministrativo e non quello civile. Ma, semplificando una questione giuridica che sarebbe altrimenti molto complessa da spiegare, possiamo dire che anche in questo caso trovano applicazione i principi generali sul risarcimento del danno e sulle penali.
L’avvocato del movimento No Tap Michele Carducci ha presentato una richiesta di accesso civico agli atti (Foia) a vari ministeri chiedendo, tra le altre cose, chiarimenti sull’esistenza e l’entità di eventuali clausole penali.
Nessuno dei Ministeri interpellati ha risposto di essere a conoscenza dell’esistenza di queste penali.
Il Ministero dello Sviluppo economico ha chiarito meglio la situazione. Nella sua risposta ha spiegato che: “Una eventuale revoca dell’autorizzazione rilasciata […], col conseguente annullamento del progetto, causerebbe una serie di danni a soggetti privati […] e pubblici, configurando richieste di rimborso degli investimenti effettuati nonché dei danni economici connessi alle mancate forniture”.
Dunque sembra che si possa dire con un buon margine di certezza che non esiste alcuna clausola penale riguardo la Tap.
Quindi non c’è una quantificazione predeterminata dei risarcimenti dovuti, ma un suo annullamento causerebbe sicuramente dei danni a soggetti privati e pubblici, che potrebbero avanzare richieste di rimborso.
A quel punto toccherebbe poi a giudici o arbitri stabilire l’entità di tale rimborso. Dunque al momento possiamo solo avere stime non certe sul costo di annullamento dell’opera.
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in una lettera ai cittadini del Comune di Melendugno, ha affermato che “se il Governo italiano decidesse adesso, in via arbitraria e unilaterale, di venire meno agli impegni sin qui assunti anche in base a provvedimenti legislativi e regolamentari, rimarrebbe senz’altro esposto alle pretese risarcitorie dei vari soggetti coinvolti nella realizzazione dell’opera e che hanno fatto affidamento su di essa”.
Anche qui sembra confermata la tesi sull’assenza di clausole penali ma sulla presenza certa di pretese risarcitorie dei soggetti coinvolti, se l’opera fosse bloccata.
Sempre secondo Conte, “i costi potrebbero aggirarsi, in base a una stima prudenziale, in uno spettro compreso tra i 20 e i 35 miliardi di euro”.
Un’altra stima, proveniente dal sottosegretario allo Sviluppo Andrea Cioffi e riferita dal sindaco di Melendugno Marco Potì, parlava invece di circa 20 miliardi di euro. Di questi 3,5 miliardi sarebbero di risarcimenti per i costi già sostenuti, 11,2 miliardi per il mancato utile sui flussi del gas, e “se questo gas non arriva ai clienti con cui hanno fatto i contratti ma si vende sul mercato turco, costerebbe 7 miliardi di euro”.
Ancora più alte le cifre ipotizzate dalla società di Stato azera Socar e dalla britannica British Petroleum, coinvolte nella realizzazione del progetto: come riportano alcuni quotidiani, i risarcimenti potrebbero oscillare tra i 40 e i 70 miliardi di euro, a detta delle due società.
Come abbiamo già detto, il fatto che si parli di stime e non di cifre precise rafforza la tesi dell’assenza di clausole penali, che darebbero importi prestabiliti. Ma vediamo se è vero, come afferma ancora Di Maio, che i pentastellati non potessero conoscere la situazione in particolare riguardo ai risarcimenti miliardari in caso di blocco del gasdotto.
Per cercare di rispondere a questa domanda ce ne poniamo altre tre: chi può chiedere il risarcimento, perché e quanto?
Come sintetizza il presidente del Consiglio Conte nella sua lettera ai cittadini di Melendugno, i soggetti che sicuramente chiederebbero un risarcimento del danno sarebbero il consorzio Tap e i suoi azionisti (Socar, BP, Snam, Fluxys, Enagas, Axpo) “per i costi di costruzione e di mancata attuazione dei relativi contratti e per il mancato guadagno da commisurare all’intera durata della concessione (25 anni)”; le società importatrici di gas (tra cui: Edison, Shell, Eon e altri ancora) “che hanno già comprato il gas a prezzi scontati e che mirerebbero a trasferire allo Stato italiano i maggiori costi di approvvigionamento per i prossimi 25 anni”; e gli “shipper di gas che si ritroverebbero a perdere margini per vendite in Turchia anziché in Italia”.
Che il consorzio Tap e i suoi azionisti avrebbero potuto chiedere dei risarcimenti in caso di annullamento dell’opera era chiaro fin dal 20 maggio 2015, quando il ministero dello Sviluppo economico firmò il Decreto di attuazione unica del progetto, che approva il progetto definitivo dell’opera e incarica il consorzio stesso di terminare il lavori entro il 2020.
Allo stesso modo, una volta approvato il progetto, era chiaro che avrebbero potuto vantare delle pretese risarcitorie le società importatrici di gas, che avevano firmato i contratti venticinquennali già a settembre 2013, così come gli shipper.
Che il risarcimento, infine, venga calcolato considerando i costi già sostenuti e i mancati guadagni lo stabilisce il codice civile, in particolare l’articolo 1223, che dovrebbe applicarsi al Tap anche in base ai principi del diritto internazionale privato (l. 218/1995 artt. 58-63).
Quindi, il fatto che ci sarebbero stati diversi soggetti titolati a chiedere un risarcimento per le perdite subite e per i mancati guadagni, in caso di annullamento dell’opera, era chiaro già da anni.
Ma era chiaro anche che l’entità del risarcimento sarebbe stata così elevata?
Qui la questione si fa più complessa, perché come già detto ci muoviamo prevalentemente nel terreno delle stime. L’unica cifra certa è quella sul costo dell’opera: secondo quanto affermato a gennaio 2017 da Ian Bradshaw, managing director del Tap, tale costo è di 4,5 miliardi di euro. La stessa stima è ripresa anche dai più recenti documenti del consorzio che sta costruendo il gasdotto. In base a questi il 90% dei 4,5 miliardi sono già stati spesi o impegnati, dunque un eventuale rimborso dei costi già sostenuti supererebbe i 4 miliardi di euro.
Le cifre ulteriori – su altri costi sostenuti, danni e mancati guadagni – sono anche oggi di difficile previsione, anche perché il Tap è parte di un’opera ben più ampia, il Corridoio meridionale del gas.
Secondo un esperto di sicurezza energetica da noi sentito, e che preferisce rimanere anonimo per il suo coinvolgimento con diverse importanti aziende del settore, il costo dell’annullamento dell’opera nell’ordine di grandezza delle decine di miliardi era comunque ampiamente prevedibile già dopo il via libera all’opera nel 2015. C’erano, e ci sono, grossi margini di incertezza sulla cifra finale – la differenza tra i 20 miliardi di cui parla Cioffi e i 70 di cui parlano Socar e BP è enorme – ma che sarebbe stata a dieci zeri era abbastanza chiaro a tutti gli addetti ai lavori.
Abbiamo provato a contattare più volte sia il Ministero dello sviluppo economico sia il Sottosegretario Cioffi, per chiedere in base a quali documenti rimasti nascosti ai membri dell’esecutivo fino al loro insediamento fossero state fatte le stime che di recente hanno reso palese l’impossibilità di bloccare il Tap, ma non abbiamo mai avuto risposta sul punto. Restiamo ovviamente a disposizione per eventuali chiarimenti e integrazioni.
Di Maio ha torto a parlare di “penali” riguardo al Tap. In base a quanto affermato da diversi Ministeri, nonché dallo stesso presidente del Consiglio Conte, sembra chiaro che non esistano. Esiste invece la sostanziale certezza che un’eventuale retromarcia del governo sul Tap darebbe il via a numerose richieste di risarcimento.
Che queste richieste ci sarebbero state, e quali sarebbero stati i soggetti titolati ad avanzarle, era chiaro da anni. Sul “quanto” di queste richieste è vero che sia difficile elaborare delle stime precise in assenza di una documentazione dettagliata che forse è in possesso del Mise (ma non abbiamo avuto conferme o smentite sul punto dal Ministero). Ma che si sarebbe trattato di decine di miliardi, secondo gli esperti, era ampiamente prevedibile.
Insomma, il M5S avrebbe dovuto sapere già durante la campagna elettorale che fermare il Tap avrebbe portato a richieste di risarcimento miliardarie da parte di diversi soggetti.