Di Cristinia Muntoni*
La parola “isteriche”, usata con leggerezza dalla Ministra Bongiorno in un tweet (poi cancellato) relativo alla approvazione del cosiddetto Ddl Codice Rosso, apre una doverosa riflessione sull’importanza dell’uso delle parole e di come spesso racchiudano la storia della demonizzazione femminile.
“Sono solo parole” è lo slogan del benaltrismo. In realtà, la parola crea. Crea il mondo in cui viviamo e lo definisce.
Perché il suo uso è inappropriato?
Oltre ad essere obsoleto (l’isteria è stata eliminata dalla terminologia medica ufficiale negli anni ‘80) è un termine offensivo ed è una delle tante parole in cui si esprime l’annientamento storico, sociale, psicologico e valoriale della donna.
“Isteria” ha iniziato ad essere associata a qualcosa di negativo con Ippocrate perché per primo lo usò per indicare un disturbo (poi qualificato nevrosi). La cosa interessante è che il termine deriva dal greco hystera che significa “utero” proprio perché Ippocrate riteneva che la causa dei disturbi fossero provocati da quest’organo che rappresenta, secondo il modello della parte per il tutto, l’intero organismo femminile.
L’organo della vita che per migliaia di anni era celebrato come simbolo della sacralità e della potenza della donna diventa una malattia e la cura è il maschio.
Scrive Platone nel Timeo “Nelle donne la cosiddetta matrice e la vulva somigliano a un animale desideroso di far figli, che, quando non produce frutto per molto tempo dopo la stagione, si affligge e si duole, ed errando qua e là per tutto il corpo e chiudendo i passaggi dell’aria e impedendo il respiro, genera il corpo nelle più grandi angosce e genera altre malattie di ogni specie“. La cura galenica dell’isteria consisterà quindi nel coito e nella gravidanza. Col medico alessandrino Sorano la terapia si rovescia: poiché le malattie femminili sono provocate dalle fatiche della procreazione, la salute è favorita dall’astinenza sessuale. Con l’affermarsi del Cristianesimo e l’importanza data alla castità come virtù, infatti, l’isteria iniziò ad essere trattata come una chiara manifestazione demoniaca. Condizione ideale per la femmina è la verginità perpetua.
Quindi la soluzione è sempre nel controllo della libertà sessuale della donna.
Nel Medioevo per i casi di isteria il medico viene sostituito dall’esorcista. Le donne che presentavano i sintomi dell’isteria erano considerate possedute dal demonio, quindi streghe e, in quanto tali, arse al rogo.
Con l’Illuminismo, nel quale l’esorcismo è visto come frutto dell’ignoranza e della superstizione, si sostituisce un approccio scientifico razionale: l’isteria, nella forma della ninfomania, viene utilizzata dal medico francese J.D.T. de Bienville (1771) come argomento per imporre alle madri un’educazione autoritaria e costrittiva delle fanciulle, alle quali viene persino proibita la lettura dei romanzi d’amore che potrebbero alterare le loro deboli fibre nervose.
Dal Settecento e sino Freud continua ad associarsi l’isteria a un disturbo legato alla sessualità della donna.
Non è calcolabile il numero delle donne che sono state rinchiuse, torturate e annientate nei manicomi nel Novecento con la diagnosi/accusa di isterismo. Spesso era il modo più semplice per eliminare una donna pensante e libera. Un caso fra tutti, Ida Dalser, la prima moglie di Mussolini.
La medicina ha eliminato la parola, la storia ci racconta la raccapricciante manipolazione che ha trasformato il significato di un termine che indicava l’organo sessuale femminile e con esso la donna, eppure, nel 2019 sembra che nulla sia cambiato.
L’utilizzo ancora oggi di questa parola in senso dispregiativo e offensivo, oltre essere frutto di ignoranza, è gravissimo perché esprime tutta la misoginia che ha percorso in linea retta la storia con l’unico scopo di annientare la radice sacra del femminile.
Le parole creano.
Usiamole con cura.
*Avvocata, ambasciatrice del Turismo d’Affari del Principato di Monaco e studiosa della sacralità della figura femminile nella Storia