Il 25 Aprile e l’abissale ignoranza dei nostri governanti
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Il 25 Aprile e l’abissale ignoranza dei nostri governanti

La Liberazione è il giorno in cui ricordano le donne e gli uomini che misero le loro vite al servizio di un’ideale di libertà, di umanità, di solidarietà, su cui rifondare alla radice un popolo e una nazione

Partigiani dopo il 25 aprile
Partigiani dopo il 25 aprile
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

23 Aprile 2019 - 19.28


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Ci risiamo. Puntuale come un pernicioso male che esplode al primo freddo, ecco tornare le venefiche polemiche sulla festività del 25 aprile, le demagogiche domande sul perché di questa ricorrenza, le liti furibonde tra fascisti e antifascisti, memori e immemori, cittadini e anti-cittadini, interisti e milanisti… E ogni anno, in una spirale che sembra non avere mai fine, il livello della stupidità aumenta, tra la costernazione dei rari savi che ancora abitano questo lutulento Paese.
Quest’anno registriamo la scelta della sindaca (consorte del capogruppo leghista in Senato che compare tra i condannati per lo scandalo Rimborsopoli) d’un paesino del settentrione che vuole abolire le celebrazioni di quel giorno, proponendo “un anno sabbatico”. (Da cosa? verrebbe da chiederle. Dalla storia, dal ricordo, dall’esercizio della democrazia, dei suoi valori fondanti e dei suoi diritti fondamentali?)
E poiché l’ignoranza non procede mai sola, bensì come la peste travolge masse intere, ecco farle eco l’immarcescibile Ministro degli Interni che dichiara: “Siamo nel 2019 e mi interessa poco il derby fascisti-comunisti” – come se il 25 aprile fosse una questione di tifo sportivo, di rivalità calcistiche, di scudetto da vincere o da perdere. Come se quel giorno non condensasse simbolicamente anni di guerra planetaria a feroci regimi che procurarono all’umanità cinquanta milioni di morti!
I politici che amministrano le nostre città, le nostre regioni, la nostra nazione, assisi come insaziabili predatori sugli scranni del potere, sono davvero lo specchio della società in cui marciamo (nel senso di marcire). Costoro intendono la politica, le relazioni individuali e sociali come bieco calcolo, come rivalità, contrapposizione, esclusione, sopraffazione. Costoro ignorano i principi, i valori posti a fondamento della vita d’una collettività; il loro agire si riduce a profferire uno slogan a effetto, a postare foto. Costoro ignorano il passato che ha determinato il devastante presente che viviamo: costoro ignorano la storia, e ignorando la storia, ignorano la loro stessa identità – costoro ignorano se stessi.
Il vero problema è che tali individui malgovernano il Paese. Come dunque spiegare a questa gente, del tutto all’oscuro della storia, della cultura, dell’identità di una terra che ha dato loro i natali, che la Resistenza fu per molti come una scuola di vita, un laboratorio di maturazione personale, di crescita sociale? (Un libro bellissimo ce lo spiega, “La Resistenza perfetta” dello storico Giovanni De Luna). Come far capire a questi figuri che quei giorni, quei mesi, quegli anni durissimi in cui la guerra infuriava l’Italia era un cumulo di macerie interiori e fisiche, un’enorme anima lacerata? Come spiegare a queste menti prive di immaginazione e piene di pregiudizi che dei cittadini prima isolati, poi riuniti in gruppi solidali, costituiti con incontri cercati o casuali, hanno cominciato a mondarsi da un feroce pensiero unico (lo chiameremmo oggi), a riconoscere le menzogne, le imposture, le falsificazioni, le sordide seduzioni d’un regime sanguinario che infestavano le menti, corrompevano valori e principi, e quindi, mediante prese di coscienza dolorose, faticose, coraggiose, mettendo in gioco un’identità individuale e collettiva, con il carico di angoscia e di tormento che ciò comporta, hanno cominciato un processo di liberazione innanzitutto interiore, di ricostruzione della propria umanità, passando poi a quella del gruppo cui si erano uniti, e, infine, alla liberazione fisica e morale di un intero Paese?
Bisognerebbe ricordare (insegnare!) a questi signori che aborrono i libri, che sono sordi ai racconti che i loro genitori, i loro nonni non possono aver taciuto, ciò che scrisse Claudio Pavone su quel che fu la Resistenza, quel che ha rappresentato (e rappresenta!) per l’Italia e gli italiani usciti da un ventennio di barbara dittatura che aveva sprofondato il Paese nella bestialità della guerra: “la posta in gioco era dunque il senso stesso dell’Italia e della sua identità nazionale” (“Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza”).
Nel riconoscere che la lotta antifascista era a un tempo patriottica, ideologica e di classe, una sorta di secondo Risorgimento che intendeva emendare gli errori, le derive, le incompletezze del primo, Pavone chiarisce inequivocabilmente cosa c’era in ballo in quei tremendi mesi di guerra civile: la distruzione di un immaginario fetido e rassicurante e la riappropriazione della realtà, il coraggio virile di affrontare le conseguenze anche tragiche che comportava la rottura dell’asservimento, in nome di una nuova solidarietà, una nascente libertà che andava conquistata spogliandosi dei miseri egoismi privati in vista di un futuro collettivo fondato sul diritto, sul libero pensiero, sulla giustizia.
È questo, o spensierati incolti, che si festeggia il 25 Aprile. Il giorno in cui sono condensati simbolicamente i valori della democrazia, dell’antifascismo, della libertà – la colonna vertebrale della Costituzione, sui cui principi si regge (o dovrebbe reggersi) il nostro, il vostro Paese, che indecorosamente governate. Il giorno in cui si ricorda il coraggio delle scelte individuali e solidali davanti all’apparente invincibilità di idee dominanti ignobili e corrosive, il giorno in cui ricordano le donne e gli uomini che misero le loro vite al servizio di un’ideale di libertà, di umanità, di solidarietà, su cui rifondare alla radice un popolo e una nazione, per un futuro meno feroce e più giusto. Il coraggio di quelle scelte, la meravigliosa solidarietà che le cementò, rappresentano una lezione ineludibile che giunge sin nel cuore di questa nostra scialba contemporaneità. Rimanere sordi e ciechi davanti ad essa, non manifestare in questo tanto vituperato 25 Aprile il nostro sentimento di gratitudine e di riconoscenza verso quelle donne e quegli uomini, significa negare noi stessi, distruggere la nostra identità.

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