Il cinismo e la gloria effimera dei 'due Mattei'
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Il cinismo e la gloria effimera dei 'due Mattei'

Se analizziamo le mosse dei due Mattei vediamo indubbiamente scaltrezza, cinismo, assenza di correttezza, un certo uso spregiudicato della forza di cui dispongono, ma...

Matteo Renzi e Matteo Salvini
Matteo Renzi e Matteo Salvini
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Antonio Rinaldis Modifica articolo

20 Settembre 2019 - 08.22


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La scelta di Matteo Renzi va spiegata. Il caos permanente della politica italiana andrebbe spiegato. E se non vogliamo ricorrere alla psicopatologia per spiegare i comportamenti dei presunti leader proviamo a setacciare la tradizione culturale del nostro paese nella speranza di trovare delle chiavi di lettura che siano in grado di rendere razionale ciò che appare come il turbinio di schegge impazzite. E si potrebbe cominciare con un paradosso: l’Italia in questo momento è un Paese in cui prevale un leaderismo senza leader.
La contingenza attuale presenta alcune analogie con la crisi che investe la Penisola nei primi decenni del XVI secolo e che viene analizzata e interpretata da Guicciardini e Machiavelli, due intellettuali che ebbero anche incarichi di governo. Dalla loro opera emergono due concetti, la ragion di Stato e la cura del Particulare, che possono aiutare a decifrare l’eterno carattere del politico italiano.
Secondo Machiavelli l’uomo di governo può agire senza essere legato a quadri valoriali di riferimento, siano essi di naturale morale o religiosa e la politica è una pratica che ha le sue regole, segue leggi proprie. Il fine della politica è il Potere, la conquista e la gestione del Potere, e l’abilità del politico risiede nella sua capacità di adattare i mezzi, le singole scelte, al fine che si è assegnato, partendo da quella che la realtà effettuale, lo stato delle cose. La virtù del politico è quindi la sua forza, derivando dalla radice latina virtus, che significa appunto forza, e per questo motivo non esiste una reale differenza morale fra un Principe buono e uno malvagio, perché se è vero che sarebbe meglio essere buono e saggio piuttosto che malvagio, queste qualità morali non si giudicano in base a un criterio morale, ma in funzione della loro utilità. Il Principe sarà quindi volpe o leone, a seconda delle circostanze, in funzione di quella che viene chiamata la Ragion di Stato, che appare come la giustificazione per ogni azione messa in campo. Il concetto stesso di Ragion di Stato, che si afferma lungo il ‘500 indica nello Stato la massima autorità che avrebbe garantito la coesione e l’unità della Nazione.
Con la figura del Guicciardini la scienza politica del Machiavelli si inceppa; di fronte alla varietà delle situazioni, alla variabilità delle circostanze, alla imprevedibile azione del Caso, vacilla l’ottimismo della volontà del Principe virtuoso che sa governare il corso disordinato delle cose. L’Italia di Guicciardini è irrimediabilmente perduta, ed è arduo pensare di poter condurre gli eventi nella direzione della giustizia e della bontà. Ma soprattutto, secondo il Guicciardini, ciò che prevale non sono gli ideali, quali la libertà, ma soltanto gli interessi particolari, gli interessi dei singoli, che si muovono in un mondo insicuro e senza regole, utilizzando la discrezione per orientarsi, senza certezze, perché se è vero che gli uomini sono per natura buoni, è altrettanto certo che sono fragili, facilmente corruttibili e quindi rivolti al male.
In che modo la lezione dei due grandi pensatori della crisi italiana del ‘500 può aiutarci a decifrare il senso dei rivolgimenti apparentemente insensati che hanno sconvolto i fragili equilibri della politica nelle ultime settimane?
La decisione di Salvini di provocare la crisi di governo e la scelta più recente di Renzi di uscire dal Pd per creare un nuovo partito rientrano nel solco della tradizione politica italiana, hanno un collegamento con la filosofia e la visione del mondo che lo spirito italiano ha costruito nel corso dei secoli? Quanto c’è di Machiavelli e di Guicciardini nelle strategie politiche dei due Mattei? Si potrebbe affermare che c’è molto e molto poco, e che dei due pensatori si sia utilizzata soltanto la parte distruttiva e non quella costruttiva e virtuosa.
L’atmosfera che si respira in questo tempo è quella di un generale cinismo senza orizzonti, racchiuso nel suo stesso disegno. Il Principe di Machiavelli non era tenuto a comportarsi in modo morale, poteva essere spregiudicato, malvagio, ingannatore, mentitore e violento, ma tutto questo era il sistema dei mezzi che venivano utilizzati per raggiungere il Potere e per conservarlo dagli eventuali nemici. Come si è detto si trattava di Ragion di Stato, il fine che poteva giustificare l’uso di mezzi immorali; la Ragion di Stato presupponeva l’esistenza di un interesse superiore, che andava oltre il beneficio personale e individuale. Se analizziamo le mosse dei due Mattei vediamo indubbiamente scaltrezza, cinismo, assenza di correttezza, un certo uso spregiudicato della forza di cui dispongono, ma l’utilizzo dell’intero repertorio che definisce il politico di Machiavelli non risponde a nessuna logica superiore, perché al fondo dei giochi e delle tattiche è assente la Ragion di Stato, che è sostituita dal calcolo opportunistico dei vantaggi che si possono ricavare per la propria parte. È la lezione disincantata di Guicciardini che alla fine prevale, la cura del Particulare, che occupa i pensieri e dirige le azioni dei nuovi Principi, privi di qualunque visione, accecati dalla prospettiva di una ribalta interminabile. La conferma della sostanziale vacuità che sta alla base di scelte così eclatanti si può ritrovare nelle parole degli stessi protagonisti. Secondo Matteo Renzi la decisione di promuovere la scissione dal Pd, di cui è stato Segretario, è riconducibile alla mancanza di futuro di quel partito, mentre Matteo Salvini ha tentato di giustificare la crisi di governo agostana con la patetica e infantile giustificazione di un fantasioso complotto europeo contro la sua persona.
Le lucide analisi di Machiavelli e di Guicciardini non servirono a salvare l’Italia dalla decadenza e dalla perdita della libertà, dal momento che per circa tre secoli il nostro Paese diventa terreno di scontro e di conquista tra le principali potenze europee, che approfittano della litigiosità dei troppi potentati italiani per sconfiggerli e dominarli.
Se la Storia può insegnare qualcosa è che bisogna pensare in grande, avere visioni ambiziose e non vacui personalismi, se si vuole costruire un grande Paese e mantenerlo libero.

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