Open Arms, Salvini indagato fa il gradasso e attacca la magistratura
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Open Arms, Salvini indagato fa il gradasso e attacca la magistratura

L'ex Ministro dice che rifarebbe tutto, ma le prove a suo carico stavolta sono più consistenti del caso della Diciotti

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19 Novembre 2019 - 08.54


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“Rifarei tutto” sbraita Salvini, ma nel frattempo starà cercando un nuovo escamotage per riuscire a evitare anche quest’altro processo. Perché, facciamoci caso, nonostante lui dica che per lui queste querele e queste indagini sono “medaglie”, perché tutto ciò che ha fatto è stato difendere “i confini, la sicurezza e l’onore dell’Italia”, ci fosse stata una volta che Salvini abbia combattuto per difendersi. Per la Diciotti riuscì a ottenere l’immunità parlamentare, e non si è ancora presentato in Parlamento per riferire sul caso Savoini. 
Oscar Camps, infatti, stavolta gongola: “Mi chiedo se questa volta, come è successo nel caso Diciotti, il Parlamento salverà Salvini negando l’autorizzazione a procedere” ha detto il fondatore di Open Arms. 
Il sequestro della Open Arms
I fatti risalgono allo scorso agosto, e sono coincisi in gran parte con l’apertura della crisi di governo per mano proprio da Matteo Salvini. Ben 164 migranti salvate dalla Open Arms in zona Sar libica sono stati tenuti per 20 giorni a bordo della nave, senza nessuna prospettiva di salvataggio. Le condizioni erano diventate estreme: molti erano già ammalati, altri lo diventarono. Alcuni di loro, stremati, tentarono di raggiungere terra gettandosi in mare. 
Il 20 agosto il pm di Agrigento Luigi Patronaggio sale a bordo della nave, ne dispone il sequestro e fa scendere tutti i migranti: “L’Autorità pubblica aveva consapevolezza della situazione d’urgenza e il dovere di porvi fine ordinando lo sbarco delle persone”, scrisse il procuratore in quell’occasione. L’Autorità è, chiaramente, l’ex Ministro Salvini. 
Le prove a carico di Salvini sono a quanto sembra notevoli. Ricordiamo che Salvini, nonostante le ripetute prove fornite dall’equipaggio, aveva definito i migranti a bordo dei ‘malati immaginari’ e che sei paesi, nelle immediate 48 ore successive al salvataggio avevano dato la loro disponibilità per ospitare i migranti. Ma Salvini aveva rifiutato, perché lui aveva bisogno, in quel momento di due cose: la prima era la presenza fisica della nave a monitorare l’attenzione pubblica, mentre lui sbrigava le faccende legate al giretto in moto d’acqua della polizia del figlio e la successiva crisi di governo dal Papeete; la seconda era la necessità ossessiva di tenere il punto, di impedire lo sbarco di persone che sarebbero andate poi via dall’Italia in poche ore. 
Non c’è solo l’esito dell’ispezione sanitaria guidata da Patronaggio a testimoniare l’omissione di quegli atti d’ufficio che il Viminale avrebbe dovuto adottare. C’è anche il decreto cautelare d’urgenza del presidente di sezione del Tar del Lazio Leonardo Pasanisi che, alla vigilia di Ferragosto, aveva accolto il ricorso della Ong spagnola annullando il provvedimento di divieto di ingresso in acque territoriali italiane firmato da Salvini e dai ministri Toninelli e Trenta in virtù del decreto sicurezza-bis. Divieto di ingresso illegittimo – fu la valutazione del Tar sposata poi anche nell’inchiesta penale – perché “in violazione delle norme del diritto internazionale del mare in materia di soccorso”, che prescrivono l’obbligo di soccorrere e portare immediatamente i migranti nel porto sicuro più vicino.

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