Salvini voleva liberare la regione, ma gli emiliano romagnoli si sono liberati di lui
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Salvini voleva liberare la regione, ma gli emiliano romagnoli si sono liberati di lui

Perde, clamorosamente, Salvini che pareva strasicuro della vittoria e ora ride amaro

Salvini e Borgonzoni
Salvini e Borgonzoni
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Claudio Visani Modifica articolo

27 Gennaio 2020 - 11.44


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L’Emilia-Romagna torna rossa. Vincono il buongoverno emiliano, il dna profondamente antifascista di questa regione e la partecipazione, spinta dall’effetto Sardine. Perde, clamorosamente, Salvini che pareva strasicuro della vittoria e ora ride amaro dicendo che è stato già un successo giocare la partita. Scompaiono quasi i Cinquestelle, e del tutto Forza Italia e la sinistra radicale. 

Il significato del voto va oltre i confini regionali. E’ il primo vero stop al vento di destra che da qualche anno soffia forte in Italia. Un’onda alimentata prima dai successi di Trump, dei sovranisti europei e dell’antipolitica. Poi dalla crisi economica che non passa e dalle paure della gente, soprattutto per l’immigrazione, che il leader leghista è abile a cavalcare con le sue campagne dell’odio. E’ un voto che potrebbe anche cambiare il corso della politica nazionale. Perché crea problemi alla leadership salviniana del centrodestra e spinge i grillini a schierarsi. “Il risultato modifica l’asse politico”, avvertono dal Nazzareno. Un voto, infine, che sembra una assicurazione sulla vita al governo Conte, almeno per un altro anno.  

Salvini voleva “liberare” l’Emilia-Romagna. Gli emiliano-romagnoli si sono voluti liberare di lui. Questo è il messaggio uscito dalle urne emiliane. Questo è il senso del voto a Bibbiano, luogo simbolo della campagna elettorale salviniana, dove il Pd vola sopra al 40 e la Lega torna sotto al 30. Questo dice il voto nelle città capoluogo, col governatore uscente Bonaccini e il centrosinistra che stravincono a Bologna (59,6% contro il 35,8% di Borgonzoni e destra), a Reggio Emilia (55 a 39), a Modena e Ravenna (53 a 42 in tutte e due le città), si riprendono in parte la Romagna (50 a 44 a Forlì-Cesena). Mentre la candidata della destra prevale a Piacenza (59,6 contro 36,8), Ferrara (54,8 contro 40,7), Parma (49,6 contro 45,7) e di un soffio a Rimini (47,5 contro 46,5).  

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Complessivamente Stefano Bonaccini vince largo, con il 51,4% e otto punti di vantaggio su Lucia Borgonzoni (43,6%). Il centrosinistra sfiora la maggioranza assoluta (oltre 48%) e il Pd torna a essere il primo partito (34,6%). Primato che aveva perso alle politiche del 2018, quando i Cinquestelle prevalsero col 27,5%, e alle europee dello scorso anno, quando la Lega arrivò al 33,8%. Il tentativo di sfondamento della destra nella regione simbolo della sinistra è dunque fallito. La Lega è ancora al 32% ma in calo nonostante la campagna martellante portata avanti dal suonatore di citofoni. Non erode consensi al campo progressista e si mangia letteralmente Forza Italia, precipitata al 2,6%. 

Il terzo candidato governatore, il grillino Simone Benini, prende appena il 3,5%: una debacle per i Cinquestelle nella regione dove il Movimento è nato, dove alle politiche del 2018 arrivò primo con il 27,5% per poi dimezzarsi alle europee. Una debacle anche per il candidato, che prende l’1,2% in meno rispetto al 4,7% della lista, a dimostrare che tra gli stellati, e non solo, c’è stato molto voto disgiunto a favore del governatore uscente. Bonaccini ha preso il 3,5% in più rispetto alla sua coalizione, la Borgonzoni due punti in meno dell’alleanza che la sosteneva. E anche il bassissimo risultato delle tre liste della sinistra radicale (i tre candidati di L’altra Emilia-Romagna, Potere al popolo e Partito comunista arrivano assieme appena all’1%) sta lì a dimostrare che molti hanno usato il doppio voto, alla propria lista e a Bonaccini. Che, con il 5,8% della ,sua lista, porta a casa un successo anche personale. Zingaretti ha detto che la sua campagna elettorale “è stata eroica”. Lui ha commentato così la vittoria: “L’arroganza e la scelta di usare l’Emilia-Romagna per altri fini non ha pagato. Abbiamo vinto sul piano del buongoverno e anche su quello politico”.  

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Per quanto riguarda le liste, i partiti di centrosinistra sopravanzano col 48% contro il 45,4% quelli del centrodestra. Il Pd di Zingaretti, col 34,7%, è in forte recupero rispetto alle politiche del 2018, quando prese il 26,4%, e anche nel confronto con le recenti europee, dove prese il 31,2%. La Lega torna sotto al 32% (aveva il 33,8 alle europee) e Fratelli d’Italia sotto al 9% (8,6), con Forza Italia al 2,6%. Buona l’affermazione della lista Emilia-Romagna Coraggiosa, quella più di sinistra sostenuta da Bersani ed Errani, che sfiora in regione il 4% (3,8) e arriva a Bologna oltre l’8%. 

Un voto, dicevamo all’inizio, segnato anche dall’alta partecipazione: il 67%, trenta punti in più rispetto alle regionali precedenti. E qui l’effetto Sardine c’è stato, eccome. A loro, le Sardine, che hanno mobilitato i giovani, riempito le piazze, dato la sveglia alla sinistra che non fa la sinistra, dato voce e rappresentanza a chi non ne può più del razzismo, di prima gli italiani e della cattiva politica, va sicuramente una bella fetta del merito. “Un grazie immenso alle Sardine”, ha riconosciuto Zingaretti. “La gente si è svegliata, è una nostra vittoria”, fanno sapere i leader del movimento. Se si vuole costruire l’alternativa alla destra in Italia, con una sinistra nuova, larga, plurale e credibile, con il ritorno alla buona politica dei pensieri lunghi e contro l’odio, bisogna ripartire da qui dal voto dell’Emilia-Romagna.

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