La lezione di Elly Schlein: il coming out torna a essere un gesto politico, come è giusto che sia
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La lezione di Elly Schlein: il coming out torna a essere un gesto politico, come è giusto che sia

Fanno francamente molto ridere i finti progressisti che scrivono ‘e chi se ne frega’, come se non vivessimo nel paese di Lorenzo Fontana o Simone Pillon

Elly Schlein
Elly Schlein
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Giuseppe Cassarà Modifica articolo

13 Febbraio 2020 - 08.55


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Che Elly Schlein sia fidanzata con una donna importa eccome. E fanno francamente molto ridere i finti progressisti che scrivono ‘e chi se ne frega’, come se non vivessimo nel paese dove puntualmente a ogni giugno, mese del Pride, vari sacerdoti raccolgono grappoli di fedeli per pregare contro la dissoluzione, o nella stessa Italia che ha aperto le porte del governo a Lorenzo Fontana, per il quale ‘le famiglie arcobaleno non esistono’ e a Simone Pillon, che passa il tempo libero a dare dei pedofili a tutti gli omosessuali che gli capitano a tiro.

Il coming out è un gesto estremamente politico. E non me ne vogliano i vari cantanti e artisti (da leggersi Mahmood o Michele Bravi) per i quali non ha nessuna importanza dire con chi vai a letto. Perché il coming out non è una questione di preferenze sessuali: dichiararsi gay, o lesbiche, o bisex, o trans, o qualunque altro punto dello spettro arcobaleno dell’identità umana, è una questione di corpi. Corpi che vengono ancora presi di mira dai ‘goliardi’ di mezza Italia, che entrano nei locali gay friendly di una città come Torino e menano colpi alla cieca, perché ‘a questi gli piace il cazzo’.

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Corpi che vogliono essere liberi, di vestirsi o svestirsi, di fare l’amore, di viaggiare, di abortire, di vivere e che non vogliono e non possono essere più legati dalle opinioni di chi non sa di cosa sta parlando. Elly Schlein, dichiarandosi, ha detto questo: io so di cosa parlo. Io sono una di quei corpi.

E abbiamo bisogno di qualcuno che sappia di cosa si sta parlando. L’Italia, clamorosamente indietro rispetto al resto d’Europa e del mondo, si trova di fronte a una rivoluzione culturale che nei comizi dell’estrema destra viene chiamata ‘ideologia gender’, lasciando intendere che riguarda solo le persone Lgbt. E, ancora peggio, facendo credere anche alle persone Lgbt che devono ghettizzarsi, fare quadrato contro il mondo che si divide inevitabilmente in gay ed etero, in ‘noi’ e ‘loro’. Un altro binarismo di cui non si sentiva il bisogno.

Elly Schlein, nella sua semplicità, dimostra che la rivoluzione gender altro non è che un desiderio di felicità. Meglio: di normalità. Dove normale vuol dire stare accanto alla persona che si ama, senza guardare cosa ha nelle mutande.

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Negli anni ’70 il ‘Fuori!’ (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano), il primo, storico movimento gay in Italia, aveva reso popolare la pratica dell’autocoscienza: rendere pubblico il privato, mettere il proprio corpo a disposizione degli altri, per essere esempio, guida, ispirazione. Grazie a chi ha rinunciato al proprio privato e si è dato in pasto al pubblico oggi gli omosessuali possono – anche se non sempre – permettersi di scegliere se dichiararsi apertamente o di rimanere nel privato. Da qui l’idea che il coming out sia obsoleto.

Sarebbe bello un mondo in cui questo fosse vero. Ma i diritti così difficilmente conquistati sono appesi a un filo. In Italia gli omosessuali possono unirsi civilmente, ma non possono adottare né avere figli. A milioni di persone è negato il diritto di avere una famiglia. In Italia non esiste una legge contro l’omofobia. In Italia le persone trans sono completamente eclissate a fenomeno da baraccone, senza che nessuno – nessuno – pensi a tutelare queste persone. Per la politica non esistono, così come i gay e le lesbiche non esistevano fino a non molto tempo fa.

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Elly Schlein facendo coming out pone ancora una volta il suo corpo come esempio. Lo fa con semplicità, lo fa in un altro tempo rispetto agli anni del ‘Fuori!’, ma lo fa. E per questo, purtroppo, sarà attaccata, presa di mira, stigmatizzata. Ma lo ha fatto lo stesso, ridando valore politico a un gesto che rischiava di perderlo. E per questo, ognuno di noi dovrebbe ringraziarla: per averci ricordato cosa è fare politica.

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