Al referendum voterò no, perché così è solo un taglio al buio
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Al referendum voterò no, perché così è solo un taglio al buio

Non mi affascina la narrazione sulla società civile “buona e onesta” e della società politica “cattiva e corrotta”. La questione morale in questo paese si chiama perdita di peso delle classi subalterne.

La Camera dei deputati
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Arturo Scotto Modifica articolo

17 Settembre 2020 - 09.05


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Non penso debba trasformarsi in una guerra di religione.
Un referendum è un referendum: ognuno nell’urna elettorale è davanti alla sua coscienza.
Nel mio partito, Articolo Uno, abbiamo deciso per la libertà di scelta.
Ho contribuito a formare questo orientamento e lo rivendico.
Non è giusto comprimere il pluralismo delle diverse sensibilità in una sola posizione.
D’altra parte, quando abbiamo sottoscritto il patto di Governo con il Movimento Cinque Stelle sapevamo che il taglio dei parlamentari era all’ordine del giorno ed era un punto decisivo per far decollare l’esecutivo.
Il gruppo di Leu lo ha votato – conosco la sofferenza del passaggio – e non poteva fare altro: i nostri parlamentari sono stati corretti e coerenti.
I patti si rispettano anche quando sono dolorosi.
Nell’accordo c’era anche una legge di impianto proporzionale e un intervento costituzionale sui contrappesi per evitare che intere aree del paese rimanessero senza rappresentanza.
In un anno purtroppo non si è fatto alcun passo in avanti.
E’ un dato oggettivo: siamo ancora a “caro amico” sulla legge elettorale e sul Dl Costituzionale Fornaro.
Sono provvedimenti incardinati nel calendario dell’aula, ma non sappiamo in che tempi essi saranno realizzati.
Per questo dico no a un taglio al buio.
Non si può prendere una riforma a pezzettini, sperando in un futuro migliore o nella ravvedimento disinteressato di qualche alleato pret a porter.
Credo profondamente all’alleanza che governa oggi il paese.
Mi batto perché divenga strutturale e non legata solo all’emergenza della destra sovranista di Salvini e Meloni.
Ma credo anche e soprattutto nella forza della politica e nella mia vita mi sono battuto perché non perdesse mai il primato.
Altrimenti avrei fatto un altro mestiere.
Ho sempre pensato che la polemica sulla casta politica fosse un modo per nascondere i privilegi della casta economica e finanziaria.
Un divertissement che ha prodotto risultati che sono sotto gli occhi di tutti: i Parlamenti oggi sono meno centrali e prestigiosi.
Ho sempre contrastato – e quando ero in Parlamento mi sono opposto con tutte le mie forze – la retorica sui costi della politica: l’abolizione del finanziamento pubblico è stato uno dei tasselli principali della riduzione dell’autonomia dei partiti.
Uno slittamento verso l’Ottocento, dove il censo era dominante per accedere alle cariche pubbliche.
Ho sempre difeso la trama democratica delle istituzioni italiane: non credo che l’abolizione delle province ad esempio abbia portato più efficienza sul territorio. Semplicemente ha aperto un vuoto amministrativo e contribuito alla frattura ulteriore tra città e aree interne.
Ho sempre pensato che i partiti servissero. Non mi ha mai affascinato la narrazione sulla società civile “buona e onesta” e della società politica “cattiva e corrotta”. Non mi ha mai convinto l’idea che tutti potessero fare tutto. Non è così: la politica è sudore, fatica, sconfitte, vittorie, studio, battaglia delle idee.
La principale questione morale in questo paese oggi si chiama perdita di peso e funzione delle classi subalterne.
Il resto sono specchietti per le allodole.
Il riformismo istituzionale che ha riempito in maniera compulsiva pagine e pagine di editoriali in questi ultimi trent’anni ha oscurato la questione sociale, l’esplosione delle diseguaglianze, la frantumazione del lavoro.
Il mio non è benaltrismo, è soltanto un bilancio di questa fase storica.
Siamo diventati tutti esperti di legge elettorale – ormai un genere letterario – ma non sappiamo leggere più una busta paga.
Il mio No è influenzato da queste convinzioni.
Sono le mie, non pretendo che siano necessariamente popolari.
Può darsi persino che siano antiquate o novecentesche, ma dal mio punto di vista – con grande umiltà e rispetto per le posizioni altrui – non mi sembra che ce ne siano in circolazione di particolarmente più persuasive.

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