Ci avevano sperato, eccome se ci avevano sperato. Un Governo di alto profilo, un dream team, un Esecutivo delle eccellenze. Bene, bravo professor Draghi. Poi la doccia gelata. In un attimo, ieri sera appena dopo le 19, quando le agenzie e i siti avevano fatto filtrare i nomi dei ministri del Governo dei migliori, quando ancora “supermario” era a colloquio con il presidente della Repubblica, il panico è cominciato a serpeggiare alla Farnesina e nelle nostre sedi diplomatiche. Gli sms si moltiplicano, segnati dall’incredulità, dalla disperazione. Alcuni invitavano all’attesa: “sono solo indiscrezioni, sapete come è l’informazione in Italia”, “aspettiamo l’ufficialità, sentiamo Draghi”.
E Draghi appare in diretta televisiva. E il dramma si materializza. Luigi Di Maio è riconfermato alla guida del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale. L’alto profilo non passa per la Farnesina. E le candidature “rosa”, esse sì di alto profilo: Elisabetta Belloni, Marta Dassù…
Nel totoministri, sport nazionale ad ogni crisi di Governo, dava la segretaria generale della Farnesina in pole position, anche se il borsino dava la Dassù, che agli Esteri c’era già stata al seguito di Massimo D’Alema, in ascesa. In terza posizione, ma distaccato, il titolare uscente. Niente da fare.
A perorare la causa di Giggino era stato il padre fondatore dei 5 Stelle, Beppe Grillo. A Di Maio, leader dell’ala governista dei pentastellati, non si poteva rinunciare, come un Bonafede qualsiasi. Certo, era possibile uno spostamento verso altri ministeri. Ma non un declassamento. Sui ministeri di spesa, quelli che dovranno gestire un Recovery plan che soddisfi l’Europa, i partiti e partitini che formano la maggioranza “bulgara” a sostegno del nascente esecutivo, non dovevano toccar palla. E la palla, infatti, non l’hanno toccata. Giustizia e Interni, sono dicasteri troppo esposti per poter ospitare Di Maio.
E allora, rieccolo agli Esteri. Uno schiaffo in faccia alle feluche. Ora, è vero che con i suoi trascorsi internazionali, e con i rapporti diretti, e in diversi casi di amicizia personale, che il neo presidente del Consiglio può contare con tutti i Grandi della terra, la politica estera, in particolare quella europea, si farà direttamente da Palazzo Chigi. D’altro canto, chi, se non Draghi, può alzare il telefono e farsi sentire da “Angela”, “Ursula”, Emmanuel, Joe e via elencando. Tutto vero. Ma resta comunque l’amaro in bocca dalle parti della Farnesina.
“Speriamo almeno di non avere più a che fare con Di Stefano”, si lascia andare, con la garanzia dell’anonimato, un alto funzionario del MAE. Il Di Stefano Manlio, in questione, è il sottosegretario grillino uscente, non certo una cima quanto a diplomazia, conoscenza dei dossier oltre che delle lingue straniere.
Delusione e sgomento
Di Maio, dunque. Quello che aveva piazzato Pinochet in Venezuela, la Russia nel Mediterraneo, il collezionista di gaffe in giro per il mondo, celebrate da esilaranti video che continuano a impazzare sui social con milioni di like. Di Maio, quello che all’uscita da un incontro al Cairo con il presidente-generale Abdel Fattah al-Sisi, ai giornalisti italiani al seguito raccontò che “il presidente al-Sisi ha garantito il suo impegno nel fare luce sulla brutale uccisione di Giulio Regeni”, aggiungendo, senza arrossire di vergogna ma con profonda convinzione: “E poi ha detto (al-Sisi) ‘Giulio Regeni è uno di noi’”.
L’ultimo affronto
E quello della procura generale del Cairo che ha difeso pubblicamente i quattro membri della National Security accusati dai pm di Roma di essere i responsabili del rapimento, della tortura e dell’uccisione di Regeni.
“Per il momento non c’è alcuna ragione per intraprendere procedimenti penali circa l’uccisione, il sequestro e la tortura della vittima Giulio Regeni, in quanto il responsabile resta sconosciuto“, sostiene il procuratore generale, Hamada Al Sawi. Il documento diffuso dal Cairo attacca i pm italiani, li accusa di non aver fatto bene il proprio lavoro e ipotizza l’esistenza di una sorta di complotto sul caso Regeni per “nuocere alle relazioni” tra Italia ed Egitto. I magistrati si spingono fino a giudicare il comportamento tenuto da Giulio nel corso della sua permanenza in Egitto, mentre stava svolgendo ricerche per la sua tesi, definendolo ”non consono al suo ruolo di ricercatore” e per questo posto “sotto osservazione” da parte della sicurezza egiziana “senza però violare la sua libertà o la sua vita privata”.
È “come se avesse parlato al Sisi”, ha evidenziato Paola Regeni, visto che il procuratore generale è un militare nominato da lui. Ma l’attacco, accusano i coniugi, è “favorito” dal nostro governo “troppo remissivo, troppo debole” che parla senza compiere “azioni conseguenti”. E concludono: “Insultando la procura insultano noi, Giulio e l’Italia. Con questi governi non si tratta. Ci vuole un po’ di dignità”.
Il Governo era il Conte II. E alla Farnesina c’era Luigi Di Maio.
La domanda che attende ancora una risposta
E’ quella che Globalist ha posto al presidente del Consiglio, ora ex:, Giuseppe Conte “Il 23 dicembre è stata consegnata alla Marina militare egiziana ed è salpata in sordina dalla Spezia alla volta dell’Egitto la prima delle due fregate Fremm denominata al Galala: per la Rete italiana Pace e Disarmo, che aveva chiesto di sospendere questa fornitura, questa consegna, avvenuta senza cerimonia né un comunicati da parte del governo o dei ministeri competenti, manifesta l’imbarazzo del governo per tutta l’operazione della vendita di sistemi militar all’Egitto. Lo scorso febbraio, durante l’audizione nella Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uccisione d Giulio Regeni, la segretaria generale della Farnesina, Elisabetta Belloni, ha confermato che Uama (l’autorità nazionale per il rilascio delle autorizzazioni all’esportazione di sistemi militari) ha autorizzato le principali aziende italiane del settore degli armamenti (Leonardo ex Finmeccanica e Fincantieri) alle trattative con l’Egitto per quello che è chiamato il “contratto del secolo”: un contratto tra i 9 e gli 11 milioni per la fornitura all’Egitto di consistente pacchetto di sistemi militari tra cui altre 4 fregate militari, 20 pattugliatori (che potrebbero essere costruiti nei cantieri egiziani), 24 caccia multiruolo Eurofighter e altrettanti aerei addestratori M346. Un contratto, il maggiore mai rilasciato dall’Italia dal dopoguerra, che farebbe dell’Egitto il principale acquirente di sistemi militari italiani. Lei può confermare che le trattive per questo contratto sono tuttora in essere? Sono state vincolate a precisi passi in avanti da parte delle autorità egiziane per fare luce sull’uccisone di Giulio Regeni?”.
Queste domande ci permettiamo di rivolgerle ora al nuovo inquilino di Palazzo Chigi. Con rispetto, ma anche con fermezza. Porle al riconfermato ministro degli Esteri è tempo perso. Lui è sempre lo stesso: quello di “Giulio Regeni è uno di noi”.
Quanto alla Farnesina, vale l’amara battuta di un diplomatico di lungo corso: “Sarebbe più dignitoso mettere all’ingresso un cartello con su scritto: la politica estera non si fa più qui. Rivolgersi alla presidenza del Consiglio”.
Amen.