Volano gli straccio e i democratici dopo qualche mese di tregua sono tornati ad azzuffarsi.
Nicola Zingaretti stasera si è tolto parecchi sassolini. Un lungo elenco, quasi un j’accuse sulle polemiche quotidiane, a mezzo stampa, che da giorni bombardano il quartier generale dem.
E il segretario chiede e si chiede come sia pensabile andare avanti così mentre le altre forze si riorganizzano. Allora c’è da chiarirsi, dice Zingaretti, “va trovato un equilibrio perché sennò diventa un’altra cosa e cioè la rimessa in discussione di un progetto politico”, un progetto peraltro condiviso nella gestione unitaria del Pd dell’ultimo anno.
Per Zingaretti, anche alla luce di tutto questo, va aperta una discussione. A partire dell’assemblea del 13 e 14 marzo.
“Io farò di tutto perché ci sia un dibattito libero e chiaro ma anche che spinga tutti verso la responsabilità di un destino comune” perché “non possiamo vivere i prossimi mesi con fuori una battaglia politica e noi implosi in una discussione tutta interna, occorre un salto in avanti”. Quindi il segretario conferma che le primarie restano previste per il 2023. Insomma, nessun congresso anticipato. Apriti cielo.
Insorge la minoranza dei Giovani Turchi. Ma uno stop arriva anche da Base Riformista che pure ha fatto parte della gestione unitaria di questi mesi. Dall’area Guerini-Lotti si fa notare che se “si sposta al 2023” il congresso, “rischiamo di essere in un’altra era politica”. Mentre “restiamo convinti che, subito dopo l’emergenza, vada aperta una discussione profonda di rango congressuale sull’identità del Pd e sul ruolo che deve avere nella nuova fase storica che si è aperta”. E poi Matteo Orfini: “Chiedere di fare un congresso ora è da marziani ma lo è anche dire che faremo le primarie nel 2023. Ed è anche una incredibile scorrettezza che sono certo Zingaretti vorrà immediatamente correggere”.
Il segretario nell’intervento in Direzione ha spiegato che “le prossime primarie sono previste nel 2023” ma “io penso sia giusto, perché è cambiato tutto, aprire una discussione su di noi, sulla nostra idea e proposta di Paese e questa discussione andrà fatta anche con chiarezza e con franchezza utilizzando gli strumenti che abbiamo, dandoci delle regole, un modo di discutere”.
La stessa franchezza con cui Zingaretti chiede: “Ma davvero voi pensate di poter arrivare fino a ottobre e con i 5Stelle che si stanno organizzando, si stanno rifondando dandosi una nuova leadership con Conte, con Salvini che usa il potere ma bombarda il quartier generale come ai tempi del Papeete, con Fdi che sta all’opposizione ma poi si presenta compatto come una falange con il centrodestra alle amministrative? Ma davvero pensiamo di arrivare ad ottobre con un partito che il lunedì dice sui giornali che si sta dissolvendo, il martedì che è contro il codice degli appalti, il mercoledì che Salvini è un leader europeista però abbiamo problemi se nel M5S si apre un processo?”.
E prosegue: “Io ho annunciato l’assemblea nazionale come inizio di un momento di confronto perché ne sono convinto che dobbiamo tornare a discutere ma per mettere in campo una proposta credibile per l’Italia. Questo lo dobbiamo al nostro popolo e il gruppo dirigente deve sentire questa responsabilità sulle spalle” e quindi “dobbiamo verificare le condizione se da quell’appuntamento possa aprire un confronto positivo tra noi o si perde il filo”. Il filo di una gestione condivisa in questi mesi. “Ho dei difetti ma non quello di non essere sensibile alla domanda di una direzione politica unitaria e collegiale”, aggiunge dicendo di voler sgombrare il campo dalle polemiche sugli ex. “Abbiamo tutti una storia e non chiediamo certo abiure. Il pluralismo è una ricchezza, ma deve essere una ricchezza sul futuro non sul passato”.
Zingaretti parla di “gestione unitaria e collegiale” e questa potrebbe essere la strada che di qui all’assemblea nazionale porti alla condivisione di un percorso per i prossimi mesi da parte delle varie anime dem. Se Areadem di Dario Franceschini è piuttosto silente, c’è agitazione in Base Riformista e anche altre componenti sono in fibrillazione. Come quella dell’area Martina, ‘Fianco a Fianco’ che raccoglie tra gli altri Graziano Delrio, Matteo Mauri, Debora Serracchiani.
Un nome, quest’ultimo, tra i potenziali per la carica di vicesegretaria che verrà votata in assemblea. Quel ruolo, a seconda di chi verrò indicato, potrebbe essere uno dei punti, o meno, per suggellare una nuova pax interna. L’eventuale elezioni di Cecilia D’Elia, presidente della donne dem e vicina a Zingaretti, potrebbe infatti suscitare ulteriori malumori. Intanto oggi tra le donne Pd c’è stata una certa tensione. Uno scontro femminile ma anche di corrente.
Alessia Rotta di Base Riformista ha chiesto che per la vicesegretaria si ragioni “in un ottica di pluralismo”. Giuditta Pini dell’area Orfini è tornata a chiedere le dimissioni di Andrea Orlando come fece Paola De Micheli a suo tempo quando le venne chiesto da Zingaretti. Una richiesta analoga, dice Orlando in Direzione, non gli sarebbe arrivata. “Sulla questione del vice segretario voglio essere molto semplice. Non la vivo come un fatto personale. Io penso che gli assetti siano funzionali o meno a un passaggio. Il segretario ha ritenuto che in questo passaggio fosse funzionale”. Una coda di scontro c’è stata poi sull’odg di D’Elia: Pini ha presentato un emendamento perché fosse previsto che la vice donna fosse anche vicaria. “La presidenza ha detto che non era ammissibile. Ho chiesto di parlare per chiarire. Mi e’ stata tolta la parola. Bella questa gestione unitaria”, scrive su twitter.