C’è chi ha detto che i renziani di Italia Viva siano peggio dell’Emilio Fede dei tempi d’oro di Berlusconi e non sono molto diversi dai parlamentari del centro-destra che pur di non contraddire il capo sostennero che Ruby fosse la nipote di Mubarak.
Il paragone potrebbe apparire eccessivo se in questi giorni, dopo la discutibile marchetta politica di Renzi nei confronti di un principe accusato di essere il mandante dell’omicidio di un giornalista dissidente, tutti ma proprio tutti i seguaci di Renzi non si fossero messi a fare quadrato, parlando della qualunque senza mai esprimere la benché minima perplessità di quello che è stato, nel migliore dei casi, uno scivolone politico offensivo verso le vittime di quella tirannide e le migliaia di lavoratori sfruttati quasi come schiavi.
Così, Teresa Bellanova, intervistata da Gianluca Semprini a “Quel che resta del giorno” su RaiNews24 non è stata da meno.
Tra le altre cose il giornalista ha fatto una domanda scomoda e inattesa: la Bellanova, che si è battuta contro il caporalato, non pensava che Renzi parlando di rinascimento in un paese nel quale molti lavoratori sono sfruttati abbia fatto un errore nel dire che invidia il loro costo del lavoro?
La replica della vice-ministra – purtroppo – è stata degna del miglior (o peggior) Salvini quando svicola.
Dopo aver negato che Renzi intendesse negare i diritti del lavoratori, ha subito spostato il discorso, dicendo che il suo leader ha affrontato un tema serio come quello dell’eccessivo costo del lavoro che in Italia penalizza imprese e lavoratori.
Ossia non ha risposto alla domanda ma l’ha rivoltata.
E allora noi ci permettiamo di riproporla: gentile senatrice Bellanova, non ritiene che Renzi parlando di un paese nel quale i lavoratori (soprattutto stranieri) sono sfruttati, sottopagati, ricattati e privati dei diritti abbia sbagliato a dire di ‘invidiare’ il costo del lavoro?
Risponda, per favore. E stia tranquilla: perfino Renzi di fronte a tale enormità ha riconosciuto che la frase non era stata molto fortunata.
A volte ad essere più realisti del re, a non voler mettere un errore o criticare il capo si perde credibilità e autorevolezza.
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