Il capo dello Stato, Sergio Mattarella in un’intervista al Corriere della Sera celebra i 700 anni dalla morte del sommo poeta, anche se – avverte – “non mi ha mai convinto il tentativo di attualizzare personaggi ed epoche storiche diverse” quindi “eviterei analogie tra l’Italia di Dante, uomo del Medioevo, e l’Italia di oggi”, premette Mattarella, mentre “va sottolineata la sua capacità di trascendere il suo tempo e di fornire indicazioni e insegnamenti validi per sempre” a prescindere “dalle specifiche situazioni di epoche differenti”. Quindi afferma: “La coerenza di Dante sia un esempio per noi”.
Da Dante, dunque, secondo il Presidente “ci separano settecento anni, un tempo incommensurabile” tant’è che “alcune delle difficoltà e dei punti critici nel nostro carattere di italiani affondano le radici in tempi a noi molto più vicini: in un’Unità nazionale che si è formata in ritardo rispetto ad altri Stati europei e che ha proceduto inevitabilmente per strappi e accelerazioni progressive e che ha visto la coscienza popolare assimilare l’esperienza unitaria con più lentezza e fatica rispetto al progetto che animava i protagonisti del movimento unitario”.
Quindi, per Mattarella, l’universalità del poeta fiorentino, e la “sua capacità di trascendere il suo tempo e di fornire indicazioni, messaggi e insegnamenti validi per sempre” e di esser stato “punto di riferimento e di ispirazione per generazioni di italiani a prescindere dalle specifiche situazioni di secoli ed epoche differenti”.
Tant’è che “l’universalità e, insieme, la bellezza di Dante” secondo il capo dello Stato vanno “ricercate proprio nella particolare attitudine di penetrare nel profondo nell’animo umano, descrivendone in modo coinvolgente moti, sentimenti, emozioni” ma “i vizi che Dante descrive la tendenza al peccato, secondo la sua concezione filosofica e religiosa sono gli stessi dall’inizio della storia dell’uomo: avidità, smania di potere, violenza, cupidigia… La Commedia ci attrae, ci affascina, ci interroga ancora oggi perche’ ci parla di noi”, chiosa Mattarella.
“Che però venendo all’oggi sottolinea: “Non so quanto possiamo paragonare la pandemia all’Inferno dantesco. Certo, alcune scene drammatiche che abbiamo visto e vissuto, come la fila di camion con le bare in partenza da Bergamo, avrebbero bisogno della sua immensa capacita’ descrittiva. Esulando per un attimo da Dante, ribadisco che in questa emergenza abbiamo tutti riscoperto, al di là di tanti e ingiusti luoghi comuni, il grande patrimonio di virtù civiche solidarietà, altruismo, abnegazione che appartiene da sempre alla nostra gente”.
E sull’insegnamento politico di Dante, che ci può riportare al presente, Mattarella segnala “la sua coerenza”, “il suo senso della giustizia, la sua concezione morale gli impongono di rifiutare” perché “l’interesse personale, la fine del doloroso esilio, non viene barattato con il cedimento delle proprie convinzioni etiche. Non si tratta di moralismo o di superbia e neppure di legittimo orgoglio. Dante è mosso dalla convinzione, altamente morale, che andare contro la propria coscienza renderebbe effimero il risultato eventualmente ottenuto”, conclude il Presidente della Repubblica.
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