Il fatto risale al gennaio 2020, quando il leader della Lega Matteo Salvini era a Bologna per svolgere la campagna elettorale della candidata leghista Lucia Borgonzoni alla presidenza della Regione Emilia Romagna.
La citofonata di Salvini ad un presunto spacciatore della zona, indicato da alcuni vicini, aveva destato scalpore, soprattutto perché è stata trasmessa in diretta tv e ripostata sui social, e per questo era stato denunciato per diffamazione.
Il pm di Bologna Roberto Cerioni oggi ha chiesto al gip l’archiviazione del procedimento a carico di Matteo Salvini.
Secondo il pm quanto avvenuto quella sera rientrerebbe nell’esercizio dei diritti di critica e cronaca e la denuncia per diffamazione a mezzo stampa da parte della famiglia di origini marocchine protagonista suo malgrado dell’episodio non ha fondamenta.
Punto centrale della richiesta del pm è la presenza dei tre elementi necessari per riconoscere le tutele previste dall’articolo 51 del codice penale (“L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità”): una verità sostanziale del fatto narrato, un interesse pubblico alla conoscenza e alla diffusione dell’informazione e “il ricorso comunque a un linguaggio entro i limiti della continenza”.
Il pm aggiunge: “Nodo insuperabile per la tesi accusatoria è poi costituito dalla discriminante di cui all’art.51 del codice penale, in relazione alla quale, la complessiva dinamica degli accadimenti e quanto emerso in ordine alla effettiva attività di spaccio, emergono elementi a sostegno della relativa ricorrenza.
L’episodio – prosegue il pm – si verifica in un clima di piena campagna elettorale, in cui, sul tema della pubblica sicurezza le contrapposte fazioni politiche hanno sicuramente avuto modo di prendere posizione delle relative campagne.
L’episodio in questione si colloca in questo contesto e le ragioni delle condotte tenute portano con sé anche questo specifico obiettivo: la critica alla precedente amministrazione in un momento in cui l’amministrazione deve essere rinnovata”.
E ancora: “Un’ipotesi di reato che, sebbene in astratto formalmente sostenibile, calata invece nella realtà concreta incontra insuperabili limiti di criticità, anzitutto sotto il suo profilo oggettivo.
Si presentano, infatti, nell’impianto accusatorio, dubbi qualificabili come ragionevoli sull’identificabilità delle persone accusate dai due indagati, Salvini e Anna Rita Biagini, sia in ordine alla concreta offensività della condotta, sia, infine, in relazione all’esclusione della scriminante di cui all’art.51 del diritto di critica e di cronaca”.
Altro aspetto messo in luce dal pm è la “genericità dei riferimenti relativi ai soggetti ritenuti responsabili dei contestati reati di spaccio (…).
Dalla visione delle riprese effettuate con telecamera, inoltre, neppure è possibile identificare il numero civico dell’abitazione dove gli indagati si fermano né è visibile il nome sul campanello.
In un siffatto contesto, dunque, ben difficile pare sostenere che il lettore degli articoli o l’ascoltare dell’audiovideo postati potesse con ragionevole certezza comprendere di chi si stesse effettivamente parlando.
Una situazione complessiva, questa, che determinando una sostanziale impossibilità di determinare con certezza l’identità delle persone offese, finisce con il rendere di fatto inoffensiva la condotta possa in essere, escludendo la ricorrenza dell’ipotesi di reato di diffamazione”.
Il pm ha riconosciuto a Matteo Salvini anche le guarentigie previste dall’articolo 68 della Costituzione, “non potendosi negare, anche per il rilevato contesto elettorale, che l’attività svolta è stata espressiva dell’opinione in punto di sicurezza che il parlamentare ha voluto esprimere in termini qui non censurabili”.
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