Lo scontro tra Israele e i palestinesi è ripartito due giorni fa con il lancio di centinaia di razzi dalla Striscia di Gaza verso il territorio israeliano.
Le vittime sono a decine e nella giornata di giovedì 13 maggio, mentre è proseguito lancio di razzi da parte di Hamas, Israele ha continuato i bombardamenti: starebbe inoltre preparando un piano per l’invasione della Striscia.
Padre Gabriel Romanelli, sacerdote argentino da 25 anni in Medio Oriente, parroco della chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, ha restituito un quadro drammatico, di guerra e distruzione.
”La situazione è molto brutta, ci sono tutti i segnali che indicano che si sta preparando una guerra, ci sono scontri giorno e notte senza tregua”.
”Prima gli scontri erano solo di notte – ha spiegato padre Romanelli – invece in questi giorni gli attacchi sono di notte e di giorno, la gente non può uscire, bombardano anche le strade. Le comunicazioni tra i quartieri sono tagliate ed è già una strage perché i numeri ufficiali parlano di 69 morti e tra questi 17 bambini che non appartengono a nessuna fazione o partito e donne. E ci sono 388 feriti, tra i quali 115 bambini: è davvero una strage perché dietro ogni persona c’è una tragedia sia da parte palestinese che israeliana. Dietro ogni ferito, umiliato, morto si incentiva odio, spirito di vendetta da una parte e dall’altra”.
L’unica cosa che serve in questo momento è il ”cessate il fuoco. Che le varie parti – ha detto padre Romanelli guardando in faccia la realtà – non vogliono mettere in pratica. In questo momento l’azione più urgente per il Medio Oriente è il cessate il fuoco, le parole devono tradursi in fatti. Ma non c’è dialogo, ognuno resta chiuso nelle proprie posizioni”.
La vita a Gaza è dura e angosciante: ”Noi usciamo solo per le urgenze, che sono l’assistenza spirituale, esistenziale e materiale ma comincia a mancare la luce, l’acqua e il cibo che deve essere cotto per durare un po’ di più. Tutti rinchiusi. Eravamo contenti che una settimana fa avevano revocato il lockdown invece ora siamo piombati in un lockdown peggiore”.
E poi, ha considerato il parroco di Gaza, non vanno trascurati i traumi: ”Una sola esplosione può cambiare una vita . Ci sono centinaia di esplosioni e fisicamente parlando pensiamo al trauma che possono generare in un bambino queste violenze inaudite”.
Il parroco di Gaza ha lanciato un accorato appello alle autorità, alle ”persone di buona volontà per il ‘cessate il fuoco’ nella consapevolezza che ”manca la volontà da una parte e dall’altra e se nessuno fara’ niente si continuera’con morte e distruzione”.
Si arriverà mai a due Stati, Istraele e Palestina come auspicato dal Papa? ”Se si vuole – osserva il parroco di Gaza – ci si può arrivare. Non è detto che guerra e ingiustizia debbano essere la realtà. Come si fa la guerra, le persone possono fare la pace. È vero che è più facile distruggere che costruire ma serve una giustizia vera per tutti, bisogna lavorare per la giustizia la riconciliazione e il perdono altrimenti, se si torna solo agli argomenti antichi non se ne esce. E serva anche la grazia del Signore”.
Ci sono colpe maggiori per questo stato di cose? ”Questo aspetto – ha sottolineato il parroco di Gaza – lo deve valutare chi ha responsabilità, in ogni situazione ci possono essere responsabilità fifty- fifty o forse no, le responsabilità le ha chi ha più potere. Andiamo alla dichiarazione del Patriarcato di Gerusalemme che parla di una pace vera fondata sulla giustizia e non parliamo di cose strane”.
Chi va in direzione opposta a questi principi di giustizia, dice padre Romanelli, è ”chi dice alle famiglie che hanno vissuto per anni nelle proprie terre di andarsene perché non appartengono loro. Fa paura pensare che hanno autorità nelle mani per cancellare la vita, i diritti”.
Il parroco di Gaza indica tre aspetti da cui partire: ”Pregare perché la preghiera aiuta, poi essere vicino a questa realtà, cercare di capire e fare conoscere la realtà e le sofferenze di tutte le parti non solo di una, con equilibrio. Manifestare vicinanza e come chiesa cattolica aiutare. Ci sono tante associazioni che aiutano. Non dimentichiamo che qui a Gaza c ‘è l’embargo da oltre dodici anni: è una grande prigione che crea bisogni molto grandi per la popolazione”.
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