di Antonello Sette
Senatrice Fattori, Davide Casaleggio, dopo aver disattivato la piattaforma Rousseau, ha detto: “Questo non è più il Movimento e sono certo che non lo avrebbe riconosciuto neppure mio padre”. Lei, che li conosceva bene, concorda?
Sono d’accordo con lui, afferma la senatrice ex 5 Stelle rispondendo all’Agenzia SprayNews. Non è il Movimento che aveva pensato Gianroberto Casaleggio. Io l’ho incontrato una sola volta. Abbiamo parlato a lungo. Aveva in mente tutta un’altra cosa.
Quale era quella cosa che non c’è più?
Casaleggio padre pensava che per una vera rappresentanza dei cittadini bisognasse usare degli strumenti nuovi, in luogo di quelli obsoleti dei partiti. Doveva essere un Movimento senza leader, ma solo di portavoce delle decisioni assunte dal basso nella rete.
Questo era?
Questo era, ma c’era anche la sua convinzione del superamento delle categorie della destra e della sinistra. Si doveva dialogare su tutto senza l’ingombro di incasellamenti superati dalla storia.
Ora il Movimento è nelle mani di Giuseppe Conte e di Luigi Di Maio. C’entrano qualcosa con l’dea che del Movimento aveva Gianroberto Casaleggio?
Assolutamente niente. Conte non è neppure iscritto. Non ha mai votato. Non ha mai partecipato a quelle discussioni infinite che erano una delle caratteristiche del M5S. Non credo di averlo mai visto sui territori che erano il pane dei Cinquestelle.
E Luigi Di Maio?
Di Maio è stato eletto capo politico con la vecchia associazione nel 2017. Doveva essere solo quello che depositava il programma politico prima delle elezioni. Con la nuova associazione i poteri del capo politico sono cambiati. Il paradosso è che con la nuova associazione non si è mai votato. Di Maio non dovrebbe essere più il leader almeno da quando si è deciso il passaggio a una segreteria composta da più persone. Il Movimento non esiste più. Loro lo hanno adottato perché era un brand, un marchio. E’ come se avessero acquistato un vestito firmato, ma che non c’entra niente con il sarto.
Le sue parole sono pesati come un macigno. Un Movimento, in cui centinaia di migliaia di persone hanno riposto le loro speranze, sarebbe diventato solo un brand da sfruttare…
Il simbolo Cinque Stelle è un brand, ma dietro quel simbolo non c’è più niente. C’è solo il vantaggio di non partire con qualche cosa di nuovo, ma con un patrimonio di iscritti che potrebbero ancora votarli, magari perché non si sono accorti che è cambiato tutto.
Una deriva interna al sistema? Sono sempre più dentro il sistema?
Non sono dentro il sistema. Sono il Sistema. Questo non è più il Movimento Cinque Stelle. Si portano dietro un simbolo che non ha più quei contenuti. Ora c’è un nuovo partito.
Lei è uscita dal Movimento quando capito dove andava a parare?
Io l’ho capito subito, ma come Cassandra non sono stata ascoltata. L’ho capito definitivamente quando hanno scritto uno statuto parlamentare secondo il quale noi non avevamo più nessun potere deliberante, con la conseguenza che le decisioni le prendevano tre o quattro persone e le imponevano ai gruppi. Si era, a quel punto, già formato un aggregato di persone che avevano l’intenzione di ammutinare il patrimonio di fiducia costruito da tanti di noi con passione.
La intristisce vedere come è finita la storia che aveva condiviso con tanti militanti?
Molto. Sono entrata nel Movimento nel 2008. Abbiamo fatto eleggere un sindaco grillino a Genzano, la cittadina dei Castelli romani dove vivo. Avevamo un grande entusiasmo e una grande voglia di fare partendo dai territori. Ero già triste quando ho intuito che il Movimento stava imboccando un ‘altra strada. Fa ancora più tristezza ora che il cambio di prospettiva è plateale.
Di Battista ha ragione?
Certo che ha ragione. Se nel 2018 il 34 per cento degli italiani ha votato il Movimento Cinque Stelle, è avvenuto perché c’era ancora l’idea di Gianroberto Casaleggio, c’era Beppe e, soprattutto, c’era la persona più importante, determinante direi, nel conseguimento del consenso, che era sempre stato Di Battista. Tutti i personaggi, che ora sono lì, non hanno conquistato, e tantomeno hanno, la fiducia del 34 per cento degli italiani, che era stata conquistata da altri. Sono lì a titolo abusivo. Il Movimento senza i due ispiratori e senza Di Battista, che ne è sempre stato l’anima e ha vinto la campagna referendaria contro Matteo Renzi e quella elettorale, non sarebbe mai arrivato al 34 per cento. Se ne è andato lui ed è stata cacciata la maggioranza dei parlamentari eletti nel 2018. Avevamo costruito un nido con le nostre ali. Ci hanno buttati fuori per impadronirsene, ma il nido non c’è più. Siamo noi che abbiamo costruito il patrimonio di fiducia che aveva portato il Movimento al trionfo elettorale del 2018. Non certo Luigi Di Maio, Stefano Patuanelli e via discorrendo. E, tanto meno, Giuseppe Conte. Sono solo gli epigoni di un Movimento che non combatte più il sistema, perché sarebbe come combattere se stesso. Sono quelli che si sono presi un simbolo che non apparteneva a loro.