Respingimenti, stragi di migranti. Mediterraneo, "una storia da cambiare"
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Respingimenti, stragi di migranti. Mediterraneo, "una storia da cambiare"

L'impegno in nome del diritto alla vita, all’inclusione, a un futuro che non sia segnato da guerre, conflitti etnici, stupri di massa, disastri ambientali, sfruttamento e povertà

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

15 Giugno 2021 - 15.18


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Mediterraneo, “Una storia da cambiare”.  In nome del diritto alla vita, all’inclusione, a un futuro che non sia segnato da guerre, conflitti etnici, stupri di massa, disastri ambientali, sfruttamento e povertà. “’Il Mediterraneo è diventato il ‘cimitero più grande d’Europa’: le parole pronunciate dal Papa all’Angelus, con le quali ha ricordato una delle più silenziose e drammatiche realtà del nostro tempo, ci interrogano profondamente. Nel mondo d’oggi, infatti, quasi più nulla sembra scalfire l’animo umano. Persino la morte di uomini, donne e bambini al largo delle nostre coste non sembrano turbare più di tanto la quotidianità del vivere”.

Ad affermarlo è il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, nell’editoriale del quotidiano Avvenire del 15 giugno, dal titolo “Una storia da cambiare” .

  Un contributo a questo cambiamento auspicato dal presidente della Cei può arrivare dai vescovi dei Paesi del Mediterraneo incontratisi una prima volta a Bari, nel febbraio 2020 e che si rincontreranno, all’inizio del 2022, a Firenze. 
 “Le parole del Papa sul Mare Nostrum – ricorda Bassetti, secondo quanto sintetizza una nota dell’archidiocesi- portano alla luce alcune grandi questioni. In particolar modo, la centralità del Mediterraneo” che “è segnata da una pervasiva globalizzazione economica che si tramuta però in una dolorosa indifferenza quando il focus si sposta sui poveri e sui migranti. Questo strabismo concettuale non solo non è evangelicamente accettabile, ma è estremamente carico di incognite e di rischi per il futuro. Chiudere gli occhi davanti ai ‘popoli della fame’ significa, prima di tutto, chiudere gli occhi a Cristo e a quell’umanità sofferente di cui da sempre si prende cura lo sguardo del Samaritano. In secondo luogo, voltare lo sguardo oggi alle migrazioni internazionali significa non affrontare concretamente una delle più grandi questioni sociali di domani: come si governa la mobilità umana? Come combattere lo sfruttamento della tratta? Come integrare queste persone nelle società d’accoglienza? Sono queste alcune delle domande che le migrazioni nel Mediterraneo impongono all’ agenda pubblica dell’Europa, dell’Africa e dell’Asia. Non solo ai governi, ma anche alla Chiesa”

Sbarchi continui

Intanto, però, la “storia” è sempre la stessa. Ed è una brutta storia. Riprendono i mini-sbarchi a Lampedusa con sette arrivi questa notte, alcuni direttamente in porto. Salgono a 692 gli arrivi in un giorno con l’hotspot ancora sopra quota 1.350 ospiti. La Guardia costiera e la Guardia di finanza hanno soccorso un barcone con 85 migranti portati in porto poco dopo mezzanotte. Altre due piccole imbarcazioni con 13 e 12 nordafricani hanno attraccato autonomamente a Lampedusa e prima dell’alba altri quattro arrivi (di 20, 54, 53 e 13 migranti) hanno riempito la banchina del porto con 250 persone. Fra i migranti anche un neonato che è stato subito visitato con la madre. Sono in corso le procedure di identificazione e i tamponi anti Covid. La maggior parte degli arrivati di questa notte è già stata trasferita all’hotspot dove la situazione è al collasso con 1.350 ospiti a fronte di una capienza massima di 250. 

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Un incontro con il premier Mario Draghi. A chiederlo è il sindaco di Lampedusa, Totò Martello, dopo la nuova ondata di sbarchi che dallo scorso fine settimana ha portato sull’isola oltre 2mila migranti. “Solo stamani ne sono arrivati circa 600 – dice il primo cittadino -. Chiedo di essere ricevuto dal premier Draghi per affrontare il fenomeno delle migrazioni attraverso lo sguardo di un territorio di frontiera”. Per Martello, che il fenomeno dei flussi migratori lo conosce bene, “il sistema delle navi quarantena sta funzionando, l’hotspot viene svuotato con trasferimenti continui, ma quando non ci sarà più il Covid e le navi quarantena come si affronterà il tema?”. “Gli sbarchi a Lampedusa non sono una novità – dice ancora il sindaco -. Il punto è che si continua di fatto a gestire solo l’accoglienza, facendolo con la logica dell’emergenza continua”.  Invece, è la tesi del primo cittadino, occorre “un approccio diverso”. 

La “rotta algerina”

 Tra ieri sera e questa mattina dall’Algeria sono arrivate altre 41 persone, tra cui una donna. Il primo sbarco è avvenuto a Sant’Antioco. Un barchino con a bordo 12 persone è stato intercettato da un mezzo del Reparto operativo aeronavale della Guardia di finanza. I migranti sono stati accompagnati in porto e affidati a polizia e carabinieri per essere trasferiti nel centro di accoglienza di Monastir. Stessa sorte è toccata ad altri tre algerini che si sono presentati da soli alle forze dell’ordine di Sant’Antioco dopo uno sbarco. Questa mattina la Guardia di finanza ha intercettato un’altra imbarcazione al largo dell’Isola del Toro, con a bordo 25 uomini e una donna. La barca è stata scortata fino in porto a Sant’Antioco e i migranti sono poi stati trasferiti nel Cpa di Monastir dove rimarranno insieme agli altri in quarantena.

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La vergogna dei respingimenti

“Una storia da cambiare” è anche quella dei respingimenti. Continui, come gli sbarchi. Un nuovo e drammatico respingimento di migranti nel Mediterraneo, è stato denunciato dalla Ong Sea Watch, in seguito al soccorso effettuato in mare di 200 persone circa dal mercantile Vos Triton. “La cosiddetta Guardia costiera libica ha raggiunto Vos Triton. Il nostro Seabird era sulla scena per documentare la situazione. È in atto un ennesimo respingimento illegale” scrive su Twitter la ong Sea Watch Italy in merito alle 200 persone intercettate e soccorse su una barca di legno in acque internazionali da ore. “Vos Triton è intervenuta in soccorso dei naufraghi dopo molto tempo, nonostante si trovasse sul posto, e solo in seguito alle pressioni dell’equipaggio di Seabird. Le persone erano ormai allo stremo e alcune stavano cercando di raggiungere a nuoto il mercantile”, aggiunte la Ong. Durante l’avvicinamento, alcuni migranti si sono gettati in mare per non finire sul mezzo militare libico. Per loro significa infatti ritornare nuovamente nelle carceri libiche, sottostando a violenze fisiche e ricatti. 

Anche Alarm Phone denuncia quando sta avvenendo in mare. “Circa 200 persone rischiano di essere respinte in Libia” spiega, segnalando che il mercantile Vos Triton che ha soccorso i migranti che si trovavano su un’imbarcazione in difficoltà, sta navigando in direzione Sud. “Questo – sostiene il servizio telefonico – è respingimento illegale e viola diritti umani e diritto d’asilo! La Libia non è un paese sicuro e i naufraghi hanno rischiato la vita per fuggire. Portateli in Europa!”.

Fuga nella morte

Un’imbarcazione si è capovolta nei giorni scorsi al largo della costa dello Yemen e circa 200 migranti, per lo più originari del Corno d’Africa, risultano dispersi. Lo hanno riferito ufficiali yemeniti e delle Nazioni Unite precisando che l’episodio è avvenuto l’altro ieri. Si tratta dell’ultimo disastro marittimo che ha coinvolto migranti africani in cerca di una vita migliore nei ricchi paesi del Golfo. Secondo Abd Rabou Mehwali, ex capo della municipalità di Ras al-Ara e attuale vice ministro dell’istruzione del governo yemenita a livello internazionale, l’imbarcazione è partita da Gibuti durante il fine settimana ed è affondata al largo dell’area di Ras al-Ara, nella provincia meridionale yemenita di Lahj. Un funzionario delle Nazioni Unite per la migrazione, che ha parlato a condizione di anonimato, ha affermato che la barca trasportava circa 200 persone, per lo più africani, e alcuni yemeniti. Non è chiaro se ci siano vittime o se qualche migrante sia stato salvato. Il funzionario ha precisato che coloro che si trovavano a bordo dell’imbarcazione risultano dispersi. Migliaia di persone ogni anno cercano di compiere il viaggio dall’Etiopia, Gibuti e Somalia allo Yemen e verso i paesi più ricchi del Golfo mentre fuggono dalla povertà in cerca di lavoro. La pandemia di coronavirus e la conseguente chiusura delle frontiere hanno rallentato ma non fermato il flusso di migranti. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha dichiarato che circa 138mila persone hanno compiuto il viaggio nel 2019, ma solo 37.500 lo hanno fatto nel 2020. Ad aprile, oltre 40 migranti sono annegati dopo che l’imbarcazione su cui si trovavano si è capovolta al largo di Gibuti. Nonostante il viaggio in mare affrontato dai migranti del Corno d’Africa per raggiungere lo Yemen sia più breve di quelli che avvengono nel mar Mediterraneo, è comunque rischioso, anche per via delle condizioni delle barche usate per intraprendere la traversata: ad aprile almeno 44 migranti morirono in un altro naufragio. Le cose per i migranti sono molto difficili anche una volta arrivati sulla terraferma: in Yemen c’è una guerra civile che va avanti da sei anni e il paese sta vivendo quella che secondo le Nazioni Unite è la peggior crisi umanitaria in corso nel mondo. Secondo le indagini dell’Oim alcuni migranti vengono tenuti sotto sequestro per giorni o anche mesi dai trafficanti di esseri umani fino a quando i loro parenti non pagano un riscatto. Più di 32mila persone arrivate in Yemen in questo modo sono ora bloccate nel paese e fanno fatica a reperire viveri (tra gli stessi yemeniti circa 12 milioni di persone devono far affidamento agli aiuti umanitari per nutrirsi), dormire al coperto e ricevere assistenza sanitaria.

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C’è tanto da cambiare in questa “storia”. Tutto.

 

 

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