La buona politica si nutre anche di gesti simbolici. Di resistenza democratica. Come quella messa in atto dai senatori di L’Alternativa C’è. “Stop al finanziamento della guardia costiera libico-turca”. Sono i cartelli che i senatori di L’Alternativa sventolano occupando i banchi del governo durante la discussione sul rifinanziamento delle missioni militari internazionali. Discussione che secondo i senatori de L’Alternativa C’è non rispetta i canoni democratici del Parlamento, e anzi ha visto sacrificata l’opposizione, impedendo che fosse affrontata, discussa e quindi votata una risoluzione di minoranza. La presidente di turno Anna Rossomando sospende l’Aula per cinque minuti.
“Non è giusto ed anzi è contrario al regolamento impedire a una legittima componente del Gruppo Misto di depositare e discutere una risoluzione trasformandola d’ufficio in un ordine del giorno, dal potere meno coinvolgente per il governo – dicono da L’Alternativa C’è – A maggior ragione visti gli ultimi fatti di cronaca, che hanno visto una motovedetta donata dall’Italia alla guardia costiera libica tentare di speronare un barcone di immigrati dopo aver tentato di colpirla con armi da fuoco”.
La ministra a Tripoli
Visita a sorpresa in Libia per la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, appena atterrata a Tripoli per incontrare il primo ministro Abdulhamid Dabaiba e il ministro dell’Interno Khaled Mazen. Prima c’è stata la telefonata con la commissaria europea Ylva Johansson per fare il punto della situazione sull’andamento dei flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo. Ovvero per chiedere un maggior sostegno da parte di Frontex (Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) nella questione dei migranti e un meccanismo unitario per i ricollocamenti. Inoltre, secondo un portavoce dell’Esecutivo comunitario, Lamorgese e Johansson hanno discusso della possibilità di indire una riunione ministeriale straordinaria a proposito dei confini bielorussi. Mentre il premier Mario Draghi ha chiamato Kaïs Saïed, il presidente della Tunisia per fare il punto sulla stabilità del Paese e sulla gestione dei migranti.
Quel vergognoso evergreen
Durissimi erano stati gli attacchi al governo da parte di Matteo Salvini, nei giorni precedenti, sulla questione degli sbarchi. “Ho scritto a Draghi e gli ho detto che entro agosto il problema va risolto. Se il ministro non è in grado di risolverlo ne prenda atto e ne tragga le conseguenze. Faccia qualcosa,blocchi questi arrivi. Non si può mantenere questo ritmo di sbarchi. Siamo ad agosto e siamo a 30mila”, aveva detto il segretario della Lega, minacciando di lasciare il governo.
La situazione nel Mediterraneo
Secondo i dati forniti dal Viminale, dal primo gennaio al 2 agosto di quest’anno sono approdati sulle nostre coste 29.461 migranti, circa 15 mila in più rispetto allo stesso arco di tempo del 2020 (14.406) e addirittura 25 mila in più rispetto al 2019 (appena 3.920). Attualmente oltre 800 migranti si trovano a bordo di navi Ong in attesa che Italia o Malta concedano un porto di sbarco, e altre 500 persone sarebbero in mare alla deriva, ancora bisognose di soccorso. Lampedusa continua ad essere l’approdo principale: ieri erano 995 i migranti ospitati nell’hotspot sull’isola, la cui capienza massima è di 250. Il Viminale aveva già trasferito 160 persone a Porto Empedocle dopo aver effettuato i controlli anti Covid, ma gli sbarchi sono proseguiti.
La denuncia di Nichi
“L’Italia investe decine di milioni di euro per addestrare la Guardia costiera libica che in questi anni e con i nostri soldi ha imparato l’arte umanitaria dello speronare navi di profughi, ha esibito indubbia competenza nello sparare contro persone disarmate e in fuga, ha dimostrato efficienza nel catturare uomini donne e bambini, nel deportarli in quei centri di detenzione che sono luoghi di orrore, di torture, di stupri, di abusi, di sparizioni. Superlativa l’ipocrisia di quelli che vogliono combattere i trafficanti di esseri umani bloccando i profughi, criminalizzando i migranti, affondando le loro barche, bloccando le vie di fuga, non prevedendo corridoi umanitari, cioè in definitiva punendo le vittime di quei trafficanti e finanziando i loro compari in divisa. Quella umanità comprata e venduta cerca in mare la salvezza dalla malasorte, ma non c’è sorte peggiore del rinculo che può seppellirli in un lager libico”. Così l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, nel suo blog su Huffington Post.
“Non si può girare attorno a questa verità: noi paghiamo la Libia per toglierci l’incomodo, per ripulire il mare nostrum dalle scorie di umanità alla deriva, lo facciamo per conto dell’Europa e di una civiltà a numero chiuso – prosegue Vendola -. Lo facciamo esternalizzando le nostre frontiere, delegando a una polizia di pirati di un’altra nazione la protezione a mare dei nostri confini. Lo facciamo bendandoci gli occhi di fronte alle inchieste puntuali e documentate che provano le sistematiche violazioni dei diritti umani da parte delle sentinelle che noi abbiamo assoldato. Negli ultimi 4 anni l’Italia ha speso 20 milioni di euro a favore della sedicente guardia costiera libica, risorse che avremmo potuto investire per salvare e non per sommergere vite. Finché i fenomeni migratori saranno affrontati come una questione di ordine pubblico e di conseguente contrasto repressivo, i trafficanti di esseri umani faranno affari d’oro, gli xenofobi semineranno i loro veleni nella politica e nella società, la povera gente in fuga dalla miseria e dal dolore continuerà a naufragare nelle acque del Mediterraneo. Per questo è urgente togliersi la benda dagli occhi. Per ridare spazio alla verità e per non naufragare, come è accaduto col voto (sul rifinanziamento, ndr.) , nel mare delle mezze verità e delle menzogne intere”.
Caos e crimini
In Libia la giustizia per le vittime di crimini di guerra e di gravi violazioni dei diritti umani si fa ancora attendere. Si tratta di omicidi extragiudiziali, sparizioni, torture, sfollamenti forzati e sequestri di persona, commessi da milizie e gruppi armati. A denunciare tutto questo è un rapporto pubblicato da Amnesty International a 10 anni dal rovesciamento del regime di Muammar Gheddafi. Secondo l’organizzazione per i diritti umani, le autorità libiche hanno promosso e legittimato capi delle milizie responsabili di violazioni inimmaginabili dei diritti basilari delle persone anziché accertare le loro responsabilità e risarcire le vittime di tutte le nefandezze commesse sotto il regime di Gheddafi e soprattutto dopo la sua scomparsa di scena. “Per dieci anni – rimarca Diana Eltahawy, vicedirettrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International – l’accertamento delle responsabilità e la giustizia sono stati sacrificati in nome di una pace e di una stabilità mai raggiunte. Gli autori delle violazioni dei diritti umani hanno beneficiato dell’impunità, sono stati integrati nelle istituzioni statali e sono stati trattati addirittura con deferenza. Se i responsabili delle violazioni dei diritti umani non saranno portati di fronte alla giustizia e continueranno a essere premiati con posizioni di potere – ha aggiunto Diana Eltahawy – la violenza, il caos, gli abusi sistematici e la sofferenza dei civili che hanno segnato l’era post-Gheddafi proseguiranno incontrastate”.
Così è. E non saranno certo le missioni a ripetizione di Di Maio e della sua collega Lamorgese a fermare gli aguzzini in divisa. A costoro, vanno i soldi italiani. Ai disperati rinchiusi nei lager libici o affogati nel Mediterraneo, bastano le lacrime. Di coccodrillo.
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